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46 l'ombra del passato


E piano piano cominciò a passare e ripassare su quelle ombre nere, eguali, immobili, che andavano a perdersi nell’ombra compatta verso il cancello Dargenti. Ma ad un tratto egli provò un senso di spavento. Gli parve di vedere un viso deforme e giallo affacciarsi tra il fogliame dei pioppi: un sospiro profondo attraversò l’aria. Egli si mise a correre, e ritornò a casa. Il portone era sempre socchiuso. Nell’andito vegliavano ancora i tigli del Pirloccia, una loro zia sorella di Tognina, e il vecchio bifolco. Nella nicchia, davanti all'immagine rossa e gialla di San-Simone Giuda, ardeva entro un bicchiere una fiammella galleggiante. Il bifolco diceva a voce bassa il rosario; gli altri rispondevano bisbigliando. Adone andò a sedersi sotto alla nicchia, e anch’egli pregò. Guardava sempre verso la porta, aspettando ansiosamente la mamma: aveva sonno, però, e la testa gli si piegava sul petto. A momenti gli occhi gli si chiudevano: allora gli pareva d’essere ancora nel viottolo, con le ciliegie sulle orecchie e il cestino in mano. S’udiva la voce dello zio: tutto era stato un sogno; lo zio era sano e allegro, l’uomo che giaceva sul gran letto molle, nella camera grande, era uno sconosciuto, un essere misterioso del quale egli aveva paura. Anche il Pirloccia gli destava paura. Gli pareva di vederlo: il piccolo uomo nero si alzava piano piano, frugava sotto il cuscino del malato, prendeva la chiave, poi correva lungo il muro come un topo e usciva dalla camera.