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la donna e il lavoro 93


madre per sentimento di dovere, e la sua maternità ne verrà nobilitata. Non il lavoro distoglie la donna dalla maternità; sono invece le correnti materialistiche, velenose insidie che prospettando la vita umana come fine a sè stessa, ne fanno una palestra di sensazioni più o meno estetiche, più o meno raffinate, con la sola preoccupazione di allontanare il dolore, che è pur sorgente delle più alte sublimazioni dei pensiero e dell’azione. Il lavoro è moralizzatore. Insegna la disciplina, il valore del tempo, lo sforzo per migliorare; insegna che la vita è lotta e che lottando si soffre.

La donna, che avrà conosciuto l’attrito col mondo apprezzerà ben diversamente il lavoro dell’uomo, ne comprenderà gli sconforti, le amarezze, i disagi assai meglio di quanto abbia potuto farlo finora. E l’uomo, che l’avrà a compagna, non vedrà più in lei quello che purtroppo vede spesso ancor oggi: un’essere limitato, incapace di crearsi un’esistenza a sè, bisognosa del­l’appoggio suo materiale e morale, dipendente da lui per povertà di spirito e di danaro; ma un’essere eguale socialmente e intellettualmente, che porterà nella famiglia tutte quelle forze attive e coscienti maturate in una vita personale e che lo sceglie e gli si dedica, perchè lo ama, non perchè egli rappresenta un marito ed una rendita valutata in lire e centesimi. Chi può negare che la moralità sociale non venga a guadagnarvi? Del resto la famiglia non è un’istituzione legale soltanto, nè un’aspirazione unicamente femminile. Essa rappresenta l’aspirazione incosciente di tutti gli esseri umani ad ambientarsi in modo da poter sviluppare in sè le qualità migliori: è l’aspirazione a quell’unità nella diversità, che sta a base non solo della vita umana, ma della vita universale. L’uomo, malgrado le soddisfazioni di una vita indipendente, malgrado