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la donna e il lavoro 99


le richiedenti fossero un milione; fossero cinque, dieci milioni; fossero tutte le donne d’Italia? Il nostro Convegno femminile si è occupato di questioni importantissime. Era mia intenzione fermarmi ad esaminare le diverse relazioni, specie quella della sig. Schiavoni Bosio, più affine al mio argomento, sulle «richieste nel campo della legislazione sociale a favore della lavoratrice»; ma il tempo stringe. A quella relazione ed alle altre del Convegno rimando tutte le donne che non se ne sono curate ed anche tutti gli uomini. Essi si accorgeranno così che i problemi che vi si sono prospettati non riguardano aride, sterili rivendicazioni femminili, ma sono problemi di alta importanza morale e sociale e si persuaderanno che il disinteressarsene non è più leggerezza ma colpa.

Ad un’altra luminosa sorgente la donna dovrà attingere; ma ciò le sarà facile, poiché nella virtù d’amare appunto, ella ha trovato sempre le sue forze migliori. La donna deve amare il proprio lavoro come ama la propria creatura. E non è forse l’opera sua, il suo lavoro, la creatura del suo spirito? In un tempo non lontano ci si vergognava di lavorare. Il lavoro era tenuto in dispregio, e quando si domandava di taluno che cosa facesse, il maggior segno di considerazione era poter rispondere: «non fa nulla, fa il signore»! Oggi si comprende che i valori umani lasciati inerti, inutilizzati, sono come il danaro nascosto dall’avaro sotto una pietra e che è colpevole sottrarre alla collettività l’una e l’altra cosa. Oggi noi sappiamo che l’amore all’opera che si compie può illuminare di un raggio di felicità la più misera ed umile vita; e ancor questo noi sappiamo: che nessun lavoro va tenuto in conto d’inferiore. Dall’operaio intento alla sua fatica, all’artista che plasma sotto il pollice possente