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148 emmelina de renzis

Un caso tipico di questa confusione lo si ha, per esempio, quando un’opera di carità viene elevata a ente commerciale e costituita in Società per Azioni, della quale un gruppo di signore si renda azionista. È già iniziativa assai benefica e molto lodevole, quella di organizzare lo smercio di prodotti di lavoranti bisognose su base commerciale. La bontà di un prodotto che risponda alla richiesta ne assicura senz’altro la vendita, e una società costituita a tale scopo può reggersi commercialmente su basi serie e concrete. Invece, non paghe di ciò, le fondatrici azioniste di tali società confondono talvolta l’utile opera commerciale con il consueto esercizio della carità: e se anche rinunziano annualmente ai dividenti delle loro azioni, il che è un atto di liberalità che dimostra il loro disinteresse, si sforzano d’intensificare artificiosamente lo smercio dei prodotti con vendite in alberghi, in fiere, e con l’assistenza di signore, come usa farsi nelle vere e proprie vendite di beneficenza. Così impostata l’impresa, il concetto della medesima rimane completamente falsato: in primo luogo, perchè non è giusto intensificare con l’idea della beneficenza gl’introiti di un’azienda i cui utili vanno a dividendo delle azioni, anche se gli azionisti volta per volta rinunziano ai profitti. In secondo luogo, perchè è economicamente errata la costituzione di un’impresa commerciale, che per reggersi abbia bisogno di ricorrere allo spirito caritatevole dei suoi clienti. Analogo errore commettono le signore caritatevoli quando, per eccesso di buon cuore, abituano delle operaie a paghe eccessive e non compatibili con il ricavato della vendita degli oggetti confezionati; ritenendo così di migliorare le condizioni economiche loro, creano invece per esse un disagio avvenire. È tutto effetto di confusione, frutto di senti­-