Pagina:La Italia - Storia di due anni 1848-1849.djvu/139

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uomini di guerra. A quattordici miglia di distanza, ei poteva prima del mezzodì condurre i desiderati rinforzi e cogliere il nemico a rovescio o alle spalle; e questo, preso tra due fuochi, facilmente sarebbesi sgominato e disperso. Egli era difetto partito di Bassano; e giunto a Pederoba, saputo da un lato il movimento retrogrado che gli austriaci facevano innanzi alla viva resistenza dei romani, e dall’altro avuto premuroso avviso che il corpo da lui lasciato a Primolano ed a Fastro poteva essere istantaneamente assalito, erasi ritirato di bel nuovo a Bassano. Le novelle di Primolano erano voci di nessuna importanza. Il generale operò marce e contromarce per manco di riflessione e di quel securo istinto che debb’essere, o frutto d’imparate regole, o naturai privilegio di un capitano di esercito.

Rimanendo il Ferrari in Treviso e non potendovelo il Durando raggiungere perchè la contrada la era tutta infestata dall’inimico, ei si portò a Cittadella, poco innanzi alla Brenta, ove poteva disputare il passaggio del fiume in Fontaniva o più in giù in Padova, i soli punti che il nemico potesse tentare per far quindi il suo congiungimento colle truppe del maresciallo in Verona. Queste infrattanto appressavansi a Treviso in tre punti diversi. Il Ferrari appostava i civili e i volontari fuori della città in luogo di minore pericolo; e co’ soldati di linea delie tre armi recavasi egli stesso in riconoscenza sulla via di Spresiano, ove — trovati gli avamposti tedeschi — gli respingeva per oltre due miglia; ma, imbattutosi in tal loco col grosso dell’esercito, i nostri — sordi alla voce del dovere e dell’onore — ripiegavano in tumulto, per colpa di alcuni capi cui il governo gregoriano avea dato gradi supremi in grazia di turpi e nefandi meriti. La fuga avvenne così precipitata e ruinosa, che un pezzo d’artiglieria col suo cassone rimase sull’infornato campo; ed ove i vincitori fossero stati più destri, avrebbero potuto penetrar nel paese insieme co’ vinti. Cotesto fatto demoralizzò sempre più le schiere stanziate in Treviso ed in ispecial modo i fonti di linea, i quali — oltre all’aver sempre minor orgoglio militare degli assoldati per le altre armi — erano raggranellati alla peggio nel modo che in altro libro ho accennato.

Laonde, il Ferrari radunato sollecito consiglio, proponeva lasciar nella piazza un presidio di 3,600 uomini — i migliori che avesse tra i granatieri, i reggimenti de’ volontari e i corpi-franchi — e trar seco il rimanente, di notte per la via di Mestre, la sola sicura. Ma, il grosso delle nostre genti, preso dal timor panico — malattia contagiosa che si facilmente si apprende nelle giovani schiere di recente battute — non voleva partire, adducendo a ragione non voler commettere una viltà collo abbandonare un paese che il nemico stringea come d’assedio. Oltre a ciò, una forte mano di giovani trevigiani abbarrava la porta della città per impedirne lo egresso. L’indomani — dodici maggio — fu ritentata la prova e riescì; il colonnello Lante rimase a comandante la piazza colla guarnigione di sopra accennata; la popolazione, sommante a quindicimila abitanti, pareva animata dal più nobile ardore; e la città circondata da muraglie era per lungo tratto inaccessibile a cagione delle paludose sponde del Sile. Facevano parte eziandio del presidio trecencinquantuno italiani di tutte regioni, venuti di Parigi a