Pagina:La donna nel pensiero dei pedagogisti.djvu/13

Da Wikisource.

— 9 —

amate dal Maestro. E Myo fu modello di figliuola, sposa e madre, Damo fino alla tortura fedele alle dottrine apprese nell’Istituto, Armonica si lasciò strappare la lingua piuttosto che tradire un segreto d’amica, e Finteo, Arignate, Peripizio furono scrittrici d’alte verità filosofiche.

L’ideale femminile di Pitagora era molto elevato, egli voleva la donna buona e istruita.

In Roma la donna fu nell’età felice della repubblica, vera madre: ogni romana, dalla più umile alla più ricca, ebbe per supremo pensiero di educare il fanciullo alla patria, così Cornelia, Aurelia di Cesare, Azia d’Augusto. Essa tuttavia non attira il pensiero di quelli che si possono considerare come i pedagogisti del tempo: Cicerone, Quintiliano, Plutarco non la nominano, forse per loro le grandi virtù della matrona romana erano innate, né essi l’avrebbero saputa concepire diversa da quello che era. Più tardi invece Orazio, Catone e Giovenale si sdegnarono con lei per i mutati costumi, che furono una delle cause principali della rovina di Roma. Non mancavano però quivi neppure le letterate, nè le filosofesse, nè altre che, come Servilia, vedova di Marco Giunio Bruto, aprivano la loro casa alla gioventù colta e intelligente. Vi furono alcune donne pedagoghe, medichesse, maestre che insegnavano ai maschi, e leggitrici di storie e poemi. E la critica più recente che sulle tombe ricostruisce la vita