Pagina:La favorita del Mahdi.djvu/391

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— Fathma, disse ad un tratto El-Mactud, traendo di tasca una pezzuola. Lasciati bendare gli occhi.

L’almea non potè trattenere un gesto di sorpresa a quello strano comando.

— Perchè? chiese ella.

— Dispensami dal rispondere alla tua domanda.

— E se rifiutassi di ubbidire?

— In tal caso ti ricondurrò alla zeribak. Corro dei grandissimi pericoli; è giusto che io prenda delle precauzioni.

Fathma esitava. Quell’ordine le sembrava tanto strano, che non sapeva decidersi. Nondimeno la paura di dover ritornare senza vedere colui che tanto amava, fece sì che si arrese.

Ella presentò la testa ad El-Mactud che gliela bendò strettamente togliendole la vista. Quasi subito in lontananza s’udirono rullare le darabùke e squillare le trombe.

— Dove andiamo? chiese l’almea con ispavento. Ho paura che tu mi perda.

— Non temere Fathma, rispose lo sceicco cercando di raddolcire il suo aspro accento. Attraversiamo il campo per abbreviare la via.

Fathma portò le mani alla benda. Ella si sentiva assalire da sinistre inquietudini e cercava di vedere quanto succedeva a lei d’intorno. Lo sceicco, che non istaccava mai gli occhi da lei, fu pronto ad afferrarla pei polsi.

— Non muoverti, le disse minacciosamente. Se mi perdi, ti dò nelle mani di Ahmed.

Quella terribile minaccia irrigidì Fathma; non osò più muoversi, tanta paura aveva di cadere nelle ugne dell’antico suo signore.

Il cammello s’avanzò per altri quindici minuti, aprendosi a gran pena il passo fra i guerrieri del Mahdi che ingombravano il campo, poi si arrestò. El-Mactud aprì la tenda e balzò lestamente a terra.

A pochi passi da lui vi era la capanna del Mahdi, sulla cui porta chiacchieravano i tre vizir dell’esercito, Ibrahim, Juban e Ahmed, il primo comandante