Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/271

Da Wikisource.

— 249 —

liquidazione del grosso patrimonio Calabritto, per cui a donna Teresa Tuttavilla, moglie del Nunziante e duchessa di Mignano, toccò una quota notevole della sostanza, il cui ricupero fu dovuto alle cure intelligenti dell’avvocato Giuseppe Bucci che aveva sposata donna Giulia, sorella maggiore di donna Teresa.

Si trovavano in contatto quotidiano col Re gl’impiegati della sua segreteria particolare, a cominciare dal colonnello D’Agostino, sposatosi in tarda età, con una delle belle e giovani figlie dell’avvocato Alfani, e a finire a Ferdinando Stähly, che era impiegato al ministero degli esteri. La segreteria era, come si è detto, il vero ministero, anzi una vera cancelleria. Il Re chiamava tutti per nome, anzi con diminutivi. Solo al Falcon, don Gioacchino, dava del voi. Aveva particolare fiducia in Gaetano Zezon, genero del Carrascosa e che era un bel giovane e di vivace talento. Lo chiamava Gaetanino. Ma poco mancò che toccasse, nel 1856, allo Zezon quanto avvenne nel 1852 a Leopoldo Corsi. Cameriere personale del Re e nel quale egli riponeva una discreta fiducia, era il Galizia, che ebbe anche la sua celebrità, ma che non si valse della posizione presso il Sovrano per far quattrini, nè forse Ferdinando II l’avrebbe tollerato. Galizia segui il Re, come si è veduto, in Calabria e in Sicilia, poi lo seguì nell’ultimo fatale viaggio in Puglia e lo assistette sino alla morte. Il Galizia mori in Napoli il 22 febbraio 1862 di apoplessia, a 65 anni, lasciando due figlie religiose nel conservatorio di Santa Maria di Costantinopoli, dotate da Ferdinando II, e due maschi, Ferdinando e Gennaro. Quest’ultimo fu prete e disse la prima messa nella cappella reale di Caserta, alla presenza del Sovrano e di tutta la famiglia reale. Dopo la messa, il Re baciò la mano al figliuolo del suo cameriere e gli donò un gruzzolo di monete d’oro, che il Galizia, padre, rifiutò, pregando Sua Maestà di voler solo permettere che il nuovo sacerdote dicesse ogni giorno la messa secondo l’augusta intenzione di lui. E il re consentì e concesse poi all’abate Galizia un pingue beneficio, il quale, mutati i tempi, non gli fu riconosciuto e per cui egli mosse lite al governo italiano. Il Galizia lasciò un patrimonio modesto. Uomo di poche parole e di molto tatto, fu, veramente, il solo che potesse affermare di conoscere a fondo il suo padrone, nel quale era entrato in grazia particolarmente per questo, che ben di rado gli chiedeva qualcosa, il che pa-