Pagina:La fine di un regno, parte I, 1909.djvu/401

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a termine da ministro le trattative di matrimonio tra Ferdinando II e Maria Cristina di Savoia, era uomo di assai mediocre levatura, ma retto. Borbonico convinto, d’un pezzo e senza paura o attenuanti, fu l’ultimo primo ministro di Francesco II, re assoluto, ultimo ministro di Sicilia a Napoli e capo di quella numerosa famiglia degli Statella, la più beneficata e protetta dai Borboni. Era tanta la penuria degli uomini di Stato, che il principe di Cassaro per la Sicilia e Ferdinando Troja per Napoli passavano per tali, ma erano persone circondate dalla pubblica stima.


Le più belle ed eleganti signore dell’alto patriziato erano la marchesa Airoldi, nata Monteleone; la baronessa di Colobria, Riso, nata Du Halky-Coetquene, figlia del conte Du Hallay famoso per i suoi duelli, ma emergeva su tutte la Stefanina Starrabba di Rudinì, che poi divenne principessa dì Paternò, bellezza rara a giudizio di tutti, e con la quale rivaleggiava soltanto l’Eleonora Trigona di Sant’Elia, divenuta poi principessa di Giardinelli e detta la bellezza bionda, così come la Stefanina era detta la bellezza bruna. Brillavano inoltre la Mariannina Lanza Mirto, ora principessa Papè di Valdina, e ìa Lauretta Pignatelli di Monteleone, per breve tempo duchessa di Cumia. Quest’ultima e la principessa di Paternò non sono più. La duchessa dì Cumia morì a diciannove anni nel marzo del 1852, e la sua morte fu davvero pietosa e la principessa di Paternò, madre del mio amico e già collega alla Camera, conte di Cammarata, è morta da pochi anni. Alcune di queste signorine erano state alunne dell’istituto Scalia, dove avevano avuto per professore d’italiano il vecchio barone Pisani, il quale, dopo i casi del 1848, si era dato all’insegnamento.

C’era la manìa dei duelli, e benché il codice li punisse severamente, la pena era resa vana dal costume. Non si faceva degno ingresso nel mondo senza essersi battuti almeno una volta. Indole ombrosa e orgogliosa il siciliano, un qualunque motivo anche frivolo, un gesto male interpretato, una parola equivoca, era motivo o pretesto per scendere sul terreno. Dopo un gran ballo dato dal principe di Sant’Antimo, nei suo palazzo in via Toledo, ci fu al guardaroba lo scambio di qualche parola fra il conte di San Marco e Francesco Fazio, direttore della Zanzara e usciere