Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/249

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di Trapani; chi si teneva la testa fra le mani e non diceva verbo, come il conte di Trani; chi, invece, diceva delle bestialità come Ajossa. Il Re non sembrava molto preoccupato; anzi fu in quel Consiglio, che rivelò le sue tendenze fatalistiche quando disse: “Don Peppino — così egli chiamava Garibaldi — ha le mani nette, ma egli è un sipario; dietro di lui stanno le potenze occidentali e il Piemonte che hanno decretata la fine della dinastia„. Venuti ai voti sulla proposta Filangieri, votarono a favore il conte d’Aquila, il principe di Cassaro, Winspeare, Gamboa, Scorza, il principe di Comitini, il conte Ludolf, ed egli stesso, Filangieri, coi direttori Rosica, Ajossa e Carafa; la respinsero Troja e Carrascosa, tenaci sino all’ultimo; si astennero, cioè non risposero nè si, nè no, il conte di Trani, il conte di Trapani e il direttore De Liguoro. Filangieri comunicò i punti essenziali del suo Statuto, proponendo che l’inviato straordinario ne informasse minutamente Napoleone. Un altro congresso seguì, un’ora dopo, ma fu tutto diplomatico. Si riunirono alla Reggia, invitati da Carafa, i ministri esteri, che erano quelli di Francia, d’Inghilterra, di Sardegna, di Spagna, di Russia, d’Austria, di Prussia, degli Stati Uniti e il nunzio pontificio. Carafa espose il motivo della riunione, e Brenier fece dichiarazioni più restrittive: concesso lo Statuto, egli sperava che l’Imperatore avrebbe dato delle guarantigie; Elliot disse di non avere istruzioni e doverne riferire al suo governo; gli altri opina rono che i rispettivi governi avrebbero garantita l’integrità della Monarchia, e questa dichiarazione, o meglio opinamento dei ministri, parve senza consistenza, non avendo alcun potere per farla.

Il giorno seguente vi fu nuovo Consiglio di Stato; Carafa riferì l’esito della riunione dei ministri esteri, ma nulla d’importante vi fu deciso.

Un vapore francese, giunto alle cinque di quel giorno, portò le notizie più recenti di Palermo, confermando il primo armistizio. Il bombardamento era cessato; aveva distrutto sessantaquattro case e parecchi edifìzii, e uccisa molta gente in città. Rotta ogni comunicazione col mare, erano concentrati attorno a Palazzo Reale da dieci a dodicimila uomini. La situazione non pareva disperata, ma del Lanza non si avevano nuove dirette, e il telegrafo fra l’Isola e il continente seguitava ad essere interrotto. Le notizie produssero molta agitazione; pattuglie di guardie di polizia e di cavalleria erano schierate a Toledo, a Chiaja e a Santa Lucia.