Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/79

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Vi era altresì, prima del 1848, un altro ispettore agli scavi di Pompei. Un giovinetto, figlio di vecchio e prode soldato di artiglieria, mandava nel 1841 da Napoli alcune sue osservazioni numismatiche all’Istituto tedesco di archeologia di Roma. Il suo scritto, sobrio ed acuto, rivelò un vivido intelletto, precocemente erudito e fu accolto benevolmente e presto inserito nel Bullettino già famoso dell’Istituto. Cinque anni dopo quel giovane, ventitreenne appena, essendo nato agli 8 di giugno 1823, tanto era salito in alto nella estimazione dei suoi colleghi, che fu eletto vicepresidente della sezione di archeologia nel settimo Congresso degli scienziati. Subito dopo lo nominarono, per merito, ispettore degli scavi di Pompei. Quel giovane, benché di famiglia lucerina, come Ruggiero Bonghi, era nato a Napoli e si chiamava Giuseppe Fiorelli, e di lui questo libro ha già fatto più volte menzione. Gli avvenimenti del 1848 lo trovarono ricco di ingegno, di entusiasmo, di fede negli studii e nelle sorti della patria. Fu de’ più operosi liberali, e tra’ custodi di Pompei formò una compagnia di artiglieri, in servizio della patria e delle libere istituzioni. Procurati due cannoni, offri l’opera sua e de’ custodi pompeiani al sottointendente di Castellamare, per la guardia nazionale del distretto. Ecco la caratteristica ed enfatica lettera, ch’egli scrisse allora, e che venne stampata nel Tempo del 10 marzo:


I custodi delle rovine di Pompei, usati a vivere taciturni tra gli squallidi avanzi di un popolo, che da 18 secoli è scomparso dalla terra, hanno ivi giurata fedeltà al Re ed alla Costituzione, con un grido che rimbombando fra queste solitudini, troverà certamente un’eco nel cuore di tutti gl’Italiani, della cui antica gloria, potere ed indipendenza qui golosamente conserviamo molte sacre reliquie. Da questo giorno noi crediamo avere un obbligo di più verso la patria nostra, quello cioè di essere pronti, come ogni altro cittadino, alla difesa delle provvide istituzioni testé donate all’Italia dalla sapienza dei suoi reggitori, e benedette dal Sommo Pontefice, che iu nome di Dio richiamò su queste acque, gloriose di bellici trionfi, su queste terre, tomba di barbari aggressori, su queste Alpi, indomabili e fiere dell’innata libertà, quella grazia celeste, onde si abbellirono queste italiche contrade, già potenti e temute da tutti i popoli del mondo.

Pertanto il luogo di nostra dimora, e la custodia dei monumenti a noi affidati, ne vietano di poterci riunire sotto le insegne della guardia nazionale, che per opera vostra, o signore, va bellamente ordinandosi in questo distretto, di tal che saremmo forzati a non poter dividere con tanti generosi fratelli l’onorevole carico d’impugnare un’arma per la difesa di questa patria, amata da noi più d’ogni cosa mortale. Epperò abituati a trattare i forti istrumenti delle opero di terra e di costruzioni, abbiamo di-