Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/430

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civescovi, molti vescovi, alti magistrati, intendenti, sottointendenti e ufficiali superiori di terra e di mare. Alla magna infornata tutti gli Ordini, quali più, quali meno, contribuirono. Ebbero la gran croce di San Ferdinando il principe di Castelcicala, luogotenente in Sicilia, il principe di Bisignano, il duca d’Ascoli e il duca di Serracapriola; furono concesse trentadue fasce di San Gennaro, una delle quali toccò a Ferdinando Troja e altre ai cardinali arcivescovi di Messina, di Benevento e di Capua. Troja ne fu felice, perchè quella onorificenza era stata l’ambizione di tutta la sua vita.. Le più numerose decorazioni furon conferite nell’Ordine di Francesco I, che era il più modesto con quarantadue commendatori, sessantadue cavalieri di prima classe e sessantacinque di seconda. Di questa onorificenza furono insigniti il sindaco e i componenti della commissione per le feste di Bari, e tutti i vescovi e prelati che assistettero alla benedizione nuziale, tranne monsignor Mucedola, vescovo di Conversano. Al duca di Taormina, Carlo Filangieri e al duca Riccardo di Sangro, il Re concesse gli onori personali di capi di Corte, e taccio le minori promozioni e le nuove nomine di dame, di gentiluomini di camera e di maggiordomi di settimana, con relativo strascico d’invidie e di maldicenze, benché la nobiltà napoletana e la siciliana avessero torto di mostrarsene insoddisfatte. Fra i maggiordomi di settimana furono compresi dei giovanotti, ancora imberbi, dell’aristocrazia napoletana e siciliana i quali, più tardi, figurarono negli alti ufficii della nuova Italia.


Il male intanto infieriva. I medici si sentivano impotenti ad attenuare i dolori al femore e all’inguine, che non davano requie all’infermo, né lo lasciavano riposare. Fu nuovamente chiamato il dottor Longo, il quale, per i suoi modi franchi e bonarii, aveva fatta buona impressione al Sovrano. Si limitò a riprescrivere un risolvente, ma in quel giorno e nel successivo, alla presenza del principe ereditario, dichiarò francamente a Ramaglia che, per dovere professionale e per declinare ogni responsabilità, credeva necessario procedere immediatamente all’operazione, potendo ogni altro ritardo riuscire fatale. Il Ramaglia si mostrò titubante. Uscendo dalle sale dell’Intendenza, il duca di Calabria raggiunse il Longo e gli disse: “Don Niccola,