Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/75

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il tarlo della restaurazione; e confesso di essere stato io l’autore di questo errore, ma io non lo conoscevo profondamente come ora lo conosco„.1


Il principe di Satriano apparve come una vittima dell’odio non spento del Re per la Sicilia, e fu fatto segno di grandi simpatie. I Siciliani avevano dimenticato gli atti di rigore politico da lui compiuti, per ricordare solo che il governo suo fu, in complesso, benefico all’Isola. Egli ripristinò, in maniera quasi perfetta, la sicurezza pubblica; fondò un’amministrazione civile, intelligente ed onesta; rese autonomo il Banco; istituì il Gran Libro del debito pubblico; creò la Borsa, l’Istituto d’incoraggiamento, commissioni permanenti per i lavori pubblici, per l’agricoltura, le foreste e le arti; accrebbe qualche insegnamento universitario; iniziò il frazionamento dei latifondi coi provvidi decreti del 16 febbraio e 29 marzo 1852, che rendevano alienabili gl’immobili appartenenti al Demanio, ai pubblici stabilimenti e ai luoghi pii laicali; e non ostante che il suo progetto per le strade fosse miseramente naufragato, ne iniziò parecchie, tra le quali, la bellissima da Palermo a Messina, per Cefalù. Cercò di cancellare i ricordi dei primi tempi, adoperando tutte le risorse del suo ingegno e le seduzioni del suo spirito, per entrare nelle grazie dei Siciliani, e si studiò di tener vivo in essi il sentimento di una ragionevole autonomia, solleticandone l’amor proprio nei limiti legittimi e dissipando o attenuando le cagioni di diffidenza e di odio verso Napoli. Perdonò molto, nè volle che l’azione del suo governo apparisse ispirata dal fine di comprimere duramente ogni legittima aspirazione. Non fu opera reazionaria la sua, e di tale condotta gli scrittori borbonici, specie il De Sivo, gli fecero colpa, quasi che egli mirasse a tener vivo il fermento rivoluzionario, mentre non mirava che a sopirlo. Durante il suo governo, la polizia politica non fu eccessiva, ed egli non avrebbe dubitato di accogliere tutte le domande di rimpatrio, inviategli da parecchi emigrati, anche fra i più compromessi, se il governo di Napoli non si fosse opposto. Tornò il duca di Serradifalco, già presidente della Camera dei Pari ed uno dei 43 esclusi dall’amnistia e tornarono altri. Per il marchese

  1. Archivio Filangieri.