Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/105

Da Wikisource.


CAPITOLO V


Sommario: La vita nelle Provincie — Galantuomini e non galantuomini — Vecchie e nuove giamberghe — Il giuoco e la beneficenza — I nobili nelle Provincie — Napoletani e provinciali — La proprietà fondiaria e gli affittuari — Latifondisti e piccoli possidenti — La vita economica — Le congreghe e loro rivalità — La settimana santa — Tipi caratteristici e un reduce di Antrodoco — Le esteriorità della ricchezza — La carrozza, la mensa e la casa — Pinacoteche private — Centri di maggiore civiltà e di cospirazioni liberali — Aquila e Lecce — Le feste religiose — Epigramma per la festa di San Giustino a Chieti — Seminari e collegi — Ricordi e confronti — Il fenomeno di Daniele Nobile a Chieti — La cultura e le tendenze — Trionfavano i reazionari — Particolari sugli attendibili — L’educazione dei giovani — I viaggi in Puglia e le bettole di Ariano — L’insicurezza delle strade — I teatri — Interessi e bisogni pubblici — Le autorità nei Comuni: sindaci, primi eletti e capi urbani — L’indifferenza delle autorità superiori — Confronti.


La vita del Regno si concentrava in Napoli per le provincie continentali; in Palermo, Messina e Catania per la Sicilia; quella delle provincie era di una maravigliosa monotonia. Assenza quasi assoluta di bisogni morali, e limitati i materiali al puro necessario. Vi era una distinzione di ceti tutta convenzionale: galantuomini e non galantuomini. Coloro che vivevano del loro censo, esercitavano professione, o vestivano il soprabito, detto, con tradizionale classicità, giamberga, erano galantuomini e avevano diritto al don. Gli altri formavano, veramente, un sol ceto. Nel resto d’Italia la parola galantuomo aveva significato morale; nell’antico Regno, esclusivamente sociale. Il ceto dei galantuomini si suddivideva in prime giamberghe (gente nuova) e vecchie giamberghe, cioè signori, le cui famiglie contavano qualche secolo di esistenza e avevano in casa il ritratto degli avi, e mobili, libri, stoffe,