Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/230

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Il Lanza, dopo pochi giorni, divenne un Alter Ego da burla. Egli vedeva la propria autorità disconosciuta dai suoi dipendenti; e scorato dagl’insuccessi militari e dalla demoralizzazione, che già invadeva l’esercito, telegrafò al ministro della guerra, che “si desiderava la morte a settantatre anni di età, contandone sessantasei di servizio„. Pochi giorni dopo il suo arrivo, gli era stata recapitata questa lettera, già diffusa per Palermo prima che pervenisse a lui, e che egli credette fosse davvero di Garibaldi, mentre non si potrebbe affermarlo con sicurezza neppure oggi; anzi si potrebbe affermare apocrifa:


Garibaldi al Luogotenente Generale.

Eccellenza,

Spinto da doveri della mia missione vengo ad indirizzarvi poche linee. — Fra quanti preposti al potere del Re di Napoli voi, o Eceellenza, siete eccezionalmente onesto, e saprete anteporre ai doveri di suddito gli altri più cari di cittadino e d’Italiano. — Sarete persuaso che la causa di Francesco II è irrimediabilmente perduta — gli sforzi saranno inutili, la resistenza funesta, perchè io col mio coraggio, e quello di numerosi prodi, e col prestigio della santa causa che difendo, sarò in Palermo, e vincerò.

Risparmiate o Eccellenza, alla Europa lo scandoloso spettacolo di una guerra fratricida, e di vedere scorrere il sangue di uomini che unica favella parlano, che lo stesso sole riscalda.

Se queste esortazioni troveranno un’eco generosa in voi e nella truppa che comandate; se al pari delle guarnigioni di Girgenti e di Trapani, i soldati di codesta capitale fraternizzeranno coi fratelli Italiani, l’onore delle armi, e i debiti riguardi saranno dovuti alla militare divisa. Però ove questi consigli non saranno intesi, mi protesto con voi, e vi dichiaro che so fare la guerra, ma non come all’ordinario, e farò passare a fil di spada chiunque dei vostri sarà fatto prigioniero e non darò quartiere a nessuno. Pensateci!

Garibaldi.


I soldati napoletani non vincevano che nelle colonne del Giornale Ufficiale di Napoli, il quale in quei giorni dovette ricorrere a tutte le risorse della sua rettorica per magnificare il valore delle truppe regie e i loro fantastici successi. Vi era si il proposito di non far conoscere la verità al pubblico; ma, d’altro canto, il governo e il suo organo erano i primi ad essere ingannati, forse senza malizia, dai capi delle colonne militari che combattevano in Sicilia. Questi, non abituati alla tattica di Garibaldi e non indovinandone mai una mossa, chiamarono disfatta la fìnta ritirata di lui nell’interno dell’Isola, e, mentre egli meditava l’ardito colpo di mano su Palermo, scrivevano che, sbaragliato