Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/243

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cesco Crispi. Fu il primo atto di autorità dittatoriale compiuto da Garibaldi, comandante in capo le forze nazionali. Il titolo di Dittatore lo assunse qualche giorno dopo.


Il giorno 29 fu disastroso per i regi nelle prime ore. Alle undici, dopo breve combattimento, abbandonano le posizioni dei Benedettini, dell’Annunziata e del bastione di Montalto; alle due gl’insorti occupano il campanile della cattedrale, ad un tiro di fucile dalla spianata del palazzo Reale, dov’è accampato il grosso delle truppe; tirano dall’alto e ammazzano molti soldati, soprattutto artiglieri. Lanza ordina al generale Colonna di riprendere le prime tre posizioni e al generale Sury di scacciare gl’insorti dalla cattedrale; si combatte con accanimento dalle due parti, e ai generali suddetti riesce di riprendere le posizioni. Sono molti i morti, moltissimi i feriti; i regi non hanno più l’ospedale, e per le comunicazioni interrotte non possono ricevere i soccorsi giunti da Napoli. In quel giorno soltanto i soldati feriti salirono a 356. Lanza fa ripetere le proposte all’ammiraglio Mundy di una breve tregua, mentre Garibaldi, non certo perduto d’animo per gli avvenimenti della giornata, decreta la formazione della guardia nazionale; apre una sottoscrizione per provvedere ai bisogni della guerra; stabilisce la pena di morte contro i rei di furto e di saccheggio; vieta di percorrere le strade a mano armata senza essere sotto la direzione di un capo; istituisce un comitato per gli arruolamenti e proibisce di perseguitare gl’impiegati dell’antica polizia. Questi suoi decreti rivelano il bisogno di aver uomini, armi e danaro e di mettere un argine alle violenze di quei malandrini usciti dalle prigioni il 27, che si abbandonano al furto e al saccheggio e accrescono la confusione e il terrore. Oramai si combatte da tre giorni; le provviste sono esaurite da parte degl’insorti; non vi sono più armi; manca il danaro; abbondano i feriti, e gli aiuti promessi dall’interno dell’Isola non arrivano. La giornata del 29 si chiude più tragicamente. Il forte di Castellamare ricomincia il fuoco, e un terribile incendio manifestatosi presso la chiesa di San Domenico, accresce lo spavento nella città, mentre brucia il palazzo Carini, il convento del Cancelliere minaccia rovina, e quello di Santa Caterina, presso il palazzo Pretorio, è in preda alle fiamme.