Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/326

Da Wikisource.

— 318 —

lati. Il 19 giugno, dunque, il Lanza, prima d’imbarcarsi per Napoli, andò ad aprir loro le porte delle prigioni, rivolgendo ai prigionieri queste parole: “Sono dolente di essere stato strumento involontario delle loro sofferenze„. Portati in trionfo da una folla plaudente, andarono a ringraziare Garibaldi, che li accolse con grande effusione. Egli aveva preso alloggio da pochi giorni al palazzo Reale, ma di questo occupava soltanto il quartiere ch’è sulla porta Nuova, oggi detta porta di Calatafimi: quartiere modesto, dal quale si gode una vista stupenda da Monreale al mare, attraverso la via Toledo. Quei giovani, tranne il padre Lanza, infermo, chiesero al Dittatore di seguirlo come volontari!, e Garibaldi li accettò. La loro liberazione fu causa di una dimostrazione che ancora si ricorda. Il Giornale Ufficiale della dittatura pubblicava in proposito un articolo magniloquente, che diceva cosi:


I prigionieri politici del forte di Castellamare, quei giovani eletti per cui abbiamo palpitato in mezzo alle varie vicende d’una lunga e procellosa lotta, sono resi alle nostre braccia. La tirannide gli strappava alle proprie case, alle proprie famiglie, e credeva umiliarne la fiera e dignitosa alterezza facendo dei loro lacci spettacolo alla città fremebonda: il popolo li ha ricondotti in trionfo. Onore a quei giovani! a quei rampolli di una aristocrazia cittadina, che, con unico esempio, mezzo secolo addietro immolava spontanea alla patria i suoi privilegi feudali; e poi, confusa nel popolo, divideva per tanti anni i dolori, gli oltraggi, le speranze e le fortune del popolo.

Dalla moltitudine affollata oggi sulla piazza della Vittoria, in mezzo al rimbombo dei sacri bronzi, al lieto suono di militari strumenti, allo sventolare di cento bandiere, un grido di riconoscenza e di affetto si è levato all’eroico Liberatore dell’Isola.

Questa sera la città scintillante di fuochi ha veduto un popolo intero d’ogni età e d’ogni classe, versarsi nella via principale, e abbandonarsi al sereno tripudio di una di quelle feste che non hanno nome nè luogo nei calendari ufficiali, ma che sono destinate a rimanere durevoli nelle pagine della storia.


La condotta di questi nobili è ben degna di essere ricordata anche oggi. Il Lanza, il Pignatelli, il Niscemi, il Riso, il Cesarò, il Notarbartolo e il Giardinelli appartenevano alle maggiori famiglie dell’Isola; rivelarono dignità e coraggio durante la prigionia, rifiutando l’indulto e mostrarono all’Europa che la rivoluzione in Sicilia non era opera delle classi infime, non degli elementi più compromessi moralmente, non degli esuli desiderosi di tornare in patria, non dei mazziniani, ne degli autono-