Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) II.djvu/67

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La formazione di questo corpo alla frontiera, preceduta da una dichiarazione del Re, piena di ostentata riverenza al Papa, ridestò i sospetti del Piemonte, dal quale furono chieste spiegazioni, e fece pessima impressione a Parigi, temendo l’Imperatore che quel nerbo di truppe potesse all’occorrenza aiutare le milizie pontificie, arruolate fra i legittimisti di Europa con a capo il Lamoricière. Nell’interno, la polizia con Ajossa alla testa non trovava posa. Filangieri sentiva di non poter più oltre tollerare la responsabilità, anche lontana, di tanti errori e tornò a insistere nelle dimissioni, fino a che il 31 gennaio 1860, con affettuosa lettera scritta anche di suo pugno, Francesco II lo esonerò dalle cariche di presidente del Consiglio e di ministro della guerra. Ma il decreto ufficiale non venne fuori che alla metà di marzo, quando contemporaneamente il Re chiamò a succedergli, nella presidenza, il decrepito principe di Cassaro e un altro vecchio, il generale Winspeare, nel ministero della guerra. Così ebbe fine quel curioso periodo di governo, nel quale i più importanti decreti erano sottoscritti nella comica forma: per il presidente del Consiglio dei ministri e ministro della Guerra impedito, il ministro senza portafoglio — Raffaele Carrascosa.

La nomina del principe di Cassaro fu una vera esumazione. Non aveva aderenti nè a Napoli, nè in Sicilia e gli mancava ogni autorità di governo. Volle che al Cumbo, ministro di Sicilia, nominato da Filangieri, fosse sostituito il principe di Comitini, che accettò, ma poi, pentito o impaurito, non ne volle più sapere. Il Cassaro fu solo in apparenza il ministro di Sicilia, mentre in realtà lo fu il direttore Bracci, devoto al Cassisi e nemico di Filangieri. Questi passò gran parte dell’inverno del 1860 a Pozzuoli, nella villa Avellino, assistito affettuosamente dalla figlia a lui prediletta, Teresa, la quale, fra mille ansie, vegliava alla salute dell’unica figliuola inferma. A Pozzuoli, Filangieri trovò modo di occupare il suo tempo, studiando problemi idraulici e militari. Nè il Re, ne i ministri lo richiesero più di consiglio, finchè non vennero dalla Sicilia le prime notizie allarmanti.