Pagina:La guerra del vespro siciliano.djvu/169

Da Wikisource.
[1282] del vespro siciliano. 153


s’appoggia su la pendice; donde il seno, lo stretto, l’opposta Calabria magnifico teatro spiegano alla vista. Largheggia un po’ di pianura a settentrione; e più vasta ad ostro, amena per vigneti e ville: boscosi i poggi, e più di que’ tempi ch’ai nostri. Non è mutata del resto la sembianza del paese, nè il sito della città, quantunque più d’una catastrofe l’abbia percosso; e poco men che spiantata da’ tremuoti del millesettecentottantatrè, si sia murata nuova dalle fondamenta.

Questa nobil città gli animi e le braccia apprestava a difesa; più intenta a munirsi nel porto che altrove, perchè non s’aspettava sì pronto un esercito ad assaltarla di terra. Rispianano a settentrione la campagna, svelte le viti, e abbattuti gli sparsi casolari; del legname di questi risarciscono le mura; fabbrican macchine ed armi: oper non sì compiute, da non dovercisi affaticare e sudar poi nel maggior uopo. Ma salde catene di ferro, legate a travi galleggianti, gittavan a traverso l’imboccatura del porto, a chiuderlo contr’ostili navigli: il braccio di san Ranieri afforzavano d’eletta gioventù, sotto il comando di Niccolò Bivacqua, e Giacomo de Brugnali, stanziata nella chiesa del Salvadore, sulla estrema punta, ov’oggi è una fortezza del medesimo nome. E un buon augurio fu principio alla guerra, quando il due giugno, viste far vela da Catona quaranta nimiche galee, i Messinesi ne mandavano trenta allo scontro. I nemici non aspettandole, in fretta rifuggironsi a Scilla; e sbarcarono le ciurme, spiegandosi a lor protezione in battaglia i cavalli d’Erberto d’Orléans, e del conte di Catanzaro: ma la traversia che levossi, non la mostra del nemico, fu quella che rattenne i nostri, anelanti a dar dentro, e abbruciare le navi1.

L’animo d’un frate siciliano ammiraron gli stessi nemici in quel tempo. Veniva re Carlo il dieci giugno alla Catona

  1. Bart. de Neocastro, cap. 31.