Pagina:La guerra nelle montagne.djvu/28

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nascose tra il verde e l’umidità, fino a che la vista di un frassino dalla tarda fioritura (i suoi fratelli trovati da noi più giù, dieci minuti prima, erano già tutti ricoperti di fogliame) ci avvertì che eravamo giunti alla sommità della brulla giogaia.

E qui erano batterie su batterie di pezzi più pesanti, disposti in modo così vario, e così nascosti, che l’averne scoperto uno non dava nessuna idea della posizione dell’altro immediatamente vicino. Cannoni da 120, da 180, da 240 e anche da 305, caricati su ruote da trattrici, su affusti da marina adattati ad opere terrestri, divisi dalle loro rispettive trattrici o messi in bilico o puntellati sui loro stessi veloci motori, si seguivano per miglia e miglia, con le loro caverne di munizioni, con le loro fucine e con i loro baraccamenti (per migliaia di serventi) sparsi od allineati sulle ripide alture dietro i cannoni stessi.

Puntati al ciclo, questi erano racchiusi in cupe fosse ed in avvallamenti; nessuna immaginazione umana potrà concepire come mai fossero stati portati lassù a dominare. Facevano capolino dalle più piccole feritoie del verde terreno; stavano internati sotto burroni e caverne, in quella località ove nessuna luce poteva mostrare la loro linea e si confondevano con un monticello di stabio dietro ad una stalla.

Si trovavano installati nel folto della foresta, simili ad elefanti nell’ora meridiana, o, per così dire, strisciando acquattati sul ventre, fino all’orlo di creste, dominanti mari di montagne. Come gli