Pagina:La persuasione e la rettorica (1913).djvu/76

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fame resti insaziata, se il tempo distolga ogni bene da ogni presente, se il dolore si continui muto inafferrabile, se fuori l’oscurità vieppiù stringa – che importa? noi riflettiamo: noi siamo nella libertà del pensiero quando le sue forme applichiamo alle cose: cogitamus ergo sumus. Il resto sono inezie della vita individuale: pel pensiero non c’è deficienza, non c’è oscurità: nel sistema della conoscenza vive la libertà assoluta dello spirito...
Oh vanità, cinta di querce!



Ma cogito non vuol dire «so»; cogito vuol dire cerco di sapere: cioè manco del sapere: non so. Ma per gli uomini volere una cosa è averla, voler conoscere è conoscere, esser sulla via della conoscenza, aver in sé modi e mezzi finiti per la conoscenza. Se già conoscessero non si muoverebbero più, non avrebbero più bisogno d’affermarsi; se non avessero via alla conoscenza non si muoverebbero come coloro che non avrebbero via per muoversi: Sappiamo o non sappiamo: ἢ πάμπαν πελέμεν χρεών ἐστιν ἢ οὐκί (Parmenide). Ma la necessità per gli uomini è appunto il muoversi: non bianco, non nero, ma grigio; sono e non sono, conoscono e non conoscono: il pensiero diviene. I dati per sé non sono niente, dicono gli uomini: noi dobbiamo ora prenderli, considerarli sub specie aeterni, contemplarli, e pensando andare verso la conoscenza. Il valore, la