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prefazione 13

cessivo dell’olio nei dipinti dell’Appiani e del Sabbatelli pure è commisto di virtù tecniche sconosciute alla folla innumere di pittori senza nome, loro coetanei.

In vero, la congerie degli ingredienti pittorici che l’artista trova sottomano si purifica al vaglio del lavoro più intenso, più complesso della mente creatrice presaga di di dover vivere nei posteri, conscia del sagrifizio maggiore imposto a chi aspira a maggiore mercede, avida anche di quegli studî che non procedendo laterali alla ricerca del bello, non possono assimilarsi dal genio stesso senza che questi, discendendo spesso dalle regioni della fantasia, deviando gli occhi dalle meraviglie della natura espressiva, si soffermi pazientemente, perseverantemente alla ricerca di più profonde dipendenze fra l’opera propria e il vero che gli è guida: aperto a tutti quei perfezionamenti che valgono a sormontare l’ostacolo così grande nelle arti plastiche di cogliere anche in uno schizzo i fugaci aspetti del movimento e della passione; vigile dell’altrui esperienza e memore dei risultati della propria, costante nel combattere eroicamente la lotta eterna dell’arte col tempo, che stende inesorabile il suo tenebroso velo dove appunto si mostra più debole la virtù del pittore, nello splendore dei lumi e nella trasparenza delle ombre, difficoltà e vittorie supreme dell’arte del colorire.

Fondamento del criterio tecnico risulta la semplificazione costante che ogni pittore introduce nei suoi mezzi tecnici col progressivo esercizio dell’arte, e prima della tradizione che attribuisce a Tiziano il merito di ottenere da soli cinque colori la ricchezza del suo straordinario colorito, era soggetto di critica Lorenzo di Credi1, che teneva preparate da venticinque a trenta tinte, e si giudicava ridicolo Amico

  1. Vasari, Vite.