Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/12

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viii cenni del traduttore.

gione dei molti studii che vi si spesero intorno è giuoco forza sequestrare senza più l’autore dal libro. Questo modo ci conduce di leggieri a ravvisare nel buon Laerzio l’uomo non affratellato colla critica, non avvezzo a seguire per filo un sistema, non abile a pesare autorità e dottrine di’ e’ reca in mezzo senza avvedersi talora di mutilarle o frantenderle, senza mai darsi briga di collegarle o vestirle con arte e modi appropriati1; ma a tenere il suo libro per una selva di fatti importantissimi, per una raccolta assai preziosa di brani cavati da gran numero di scrittori che più non esistono2, per una congerie di nomi, di dommi, di sentenze, di epoche, cercate con diligenza, offerte con ischiettezza, senza scopo per trasandarle, senza malizia per alterarle3.

  1. Non chiarezza; non purità di stile; non ombra di atticismo. Diogene, dice Le Clere, inesatto scrittore, usa di quello stile che i Greci appellano idiotico, proprio delle persone prive di lettere.
  2. L’ouvrange de Diogène, dice Schœll, est un de plus prècieux de l’antiquitè par la quantitè des faits et des notices qu’il nous fournit, et par un grnnd nombre de passages d’auters perdus qu’il nous a conservè. Sono più di quattrocento, e nessuno quasi è giunto a noi. Quante vite e quanti dommi non si ignorerebbero!
  3. Il suo libro non lo appalesa nè attico, nè cristiano, nè platonico, nè epicureo, o di una setta qualunque, se pure ad alcuna appartenne, com’altri pretese.