Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/203

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170 capo xvii.

tro era partigiano di Omero; poi anche dei lirici, quindi di Sofocle, finalmente di Acheo, come secondo tra i satiri, assegnando ad Eschilo il primato. Il perchè contro gli oppositori del governo dicesi queste cose aver indirizzate:

            — È preso dunque
     Dai deboli il veloce, e in picciol tratto
     Dalla testuggin l’aquila.

Queste sono di Acheo, tratte dall’Onfale satirica. Per la qual cosa erra chi dice, che e’ non leggesse altro che la Medea di Euripide, la quale altri afferma essere di Neofrone sicionio.

XI. Tra i maestri disprezzava Platone e Senocrate; ed anche Parebate il cirenaico; e ammirava Stilpone; intorno al quale per altro, sendo una volta interrogato, non disse altro, se non che, è liberale.

XII. Era Menedemo oscuro e pel suo modo di comporre difficile avversario; versato su di ogni cosa, parlatore abbondante e, al dire di Antistene nelle Successioni, contenziosissimo. Usava poi anche di questa maniera di argomentazione: Il differente è egli differente dal differente? Sì — L’utile è egli differente dal bene? Sì — Dunque il bene non è utile. — Toglieva di mezzo, dicono, le proposizioni negative; stabiliva le affermative; e di queste ammetteva le semplici, le non semplici rifiutava, chiamandole congiunte e avviluppate. — È opinione di Eraclide, che nelle sue dottrine fosse platonico, e si prendesse giuoco delle dialettiche. Ond’è che Alessino ebbe ad interrogarlo una volta, se aveva