Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/285

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gli affari — Credeva che gli Dei agguardassero alle cose degli uomini, e fossero demoni — e primo dimostrava il concetto del bello collegato con quello del lodevole e del ragionevole e dell’utile e del decente e del convenevole, le quali tutte cose sono collegate con quanto è conforme a natura e da tutti assentito.

XLIII. Trattò della giusta applicazione dei nomi, come anche primo costituì la scienza di rettamente interrogare e rispondere, usandone ei stesso con esuberanza.

XLIV. Ne’ suoi dialoghi tenne per legge divina anche la giustizia, come incitamento più potente ad oprare le cose giuste, affinchè i malvagi, eziandio dopo la morte, non avessero ad isfuggire la pena. Il perchè fu avuto da taluno in concetto d’uom favolosissimo, tramischiando a’ suoi scritti tali racconti, che per mezzo dell’incertezza in che si stanno le cose dopo morte, allontanavano gli uomini dalle colpe — e questi erano i suoi sentimenti.

XLV. Le cose, dice Aristotele, divideva in questo modo. Dei beni ve n’ha alcuni nell’anima, alcuni nel corpo, alcuni di fuori; come la giustizia, la prudenza, la fortezza, la temperanza e simili, nell’anima; la bellezza, la buona complessione, la robustezza, nel corpo: gli amici, la felicità della patria, la ricchezza, tra que’ di fuori. Dei beni adunque sono tre specie: alcuni nell’anima, alcuni nel corpo, alcuni di fuori.

XLVI, Di amicizia tre specie; poichè una è naturale, una compagnevole; una ospitale. Naturale chiamiamo quella che i genitori hanno verso i figli e l’uno verso l’altro i parenti, e questa toccò agli altri animali ancora.