Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/346

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capo iii, polemone 311

stessa forma all’aspetto, e persino la voce inalterabile. Il perchè si acquistò l’affezione di Crantore. — Un cane rabbioso lacerato avendogli un garetta, ei non ne impallidì solo. — Avvenuto un tumulto in città, chiese dell’accaduto, e non si mosse. — Ne’ teatri non era punto intenerito. Quindi è che una volta Nicostrato, soprannomato Clitennestra, recitando a lui ed a Crantore non so qual poesia, questi ne fu tocco, quegli come se non udisse. Tale era in una parola come dice Melanzio il pittore, ne’ suoi libri Dell’arte pittorica, il quale afferma doversi mostrare certa pertinacia e durezza nell’opere a uno stesso modo che ne’ costumi. — Era opinione di Polemone doversi l’uomo esercitare negli affari e non nelle dialettiche speculazioni a guisa di chi un giuochetto di combinazioni s’ingolla e medita, per poi farsi ammirare nelle quistioni, ed essere in contradizione coi propri affetti. — Tuttavolta era civile, generoso, e schivava i discorsi che, in proposito di Euripide, Aristofane chiama coll’aceto e il laserpizio; che, come egli afferma:

    È voglia di cinedi per il grosso.


V. Non sedeva, dicono, neppur quando parlava sui temi proposti, ma passeggiava argomentando. — In città era onorata pel suo amore alla probità. — Lunge, per lo più, da’ siti frequentati, passava il suo tempo in un orto, presso del quale i discepoli fecero delle picciole capannette per abitare vicino al museo e all’essedra.