Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/440

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X. Quando seppe Demetrio che gli Ateniesi avevano abbattute le sue immagini, disse: Non però la virtù per cui le innalzarono. — Diceva: Non essere una piccola parte le sopracciglia se possono oscurare tutta la vista. — Non solo appellava cieca la ricchezza, ma anche la fortuna che di quella è guida. — Quanto il ferro è potente in guerra, altrettanto, affermava, valere nelle repubbliche la parola. — Vedendo una volta un giovine dissipatore: Ecco, disse, un Mercurio quadrato, che ha veste con istrascico, ventre, pudende e barba. — Diceva che agli uomini ambiziosi era mestieri, ora recidete l’altezza, ora lasciare l’animo elevato. — Diceva che i giovani in casa rispettar devono i genitori, per le vie coloro che incontrano quando sono soli, sè stessi.E che devono gli amici, nelle prosperità, venire se sono chiamati, nelle sventure, spontaneamente. — Questo pare che gli si attribuisca.

XI. Venti furono i Demetri degni di considerazione. Primo, un retore cartaginese, più antico di Trasimaco. — Secondo, quest’esso. — Terzo, un bizantino, peripatetico. — Quarto, uno che fu chiamato il pittore chiaro nel raccontare. Veramente costui era anche pittore. — Quinto, un aspendio, discepolo di Apollonio da Soli. — Sesto, un calaziano che scrisse Venti libri sull’Asia e sull’Europa. — Settimo, un bizantino, il quale scrisse in tredici libri il passaggio dei Galli dall’Europa nell’Asia, e in altri otto le imprese di Antioco e di Tolomeo e il governo della Libia sotto di quelli. — Ottavo, quello che abitava in Alessandria, scrittore dell’arti retoriche. — Nono, un grammatico adramiteno,