Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/460

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principio dell’imperfezione del mondo, ma fa sussistere eternamente la materia e il divenire a lato di Dio, senza Cercarne ragione. Così, nel vero, l’attività divina non dee essere limitata a sè sola, alla immutabile contemplazione di sè medesima, ma Dio invece appare in relazione un po’ strana colle cose del mondo. Poichè e’ non dà ad esse la loro facoltà d’essere o di divenire: questa facoltà è ben piuttosto nella materia; solo puossi affermare ch’è in virtù dell’azione divina ch’esse giungono ad un’esistenza, ad una realtà determinata. E in questo stesso, Dio agisce in una maniera quasi indifferente, se chiedendo come e perchè Dio muove il mondo, noi vediamo nonostante ch’ei non agisce primitivamente nella formazione di quello, ma dà solamente il nascimento alle forme nelle cose messe in movimento. — Dalla conoscenza delle cose, segue Ritter, che ora sono in riposo, ora in movimento, Aristotele è convinto dover esistere un motore, il quale non possa essere nè mosso, nè non mosso. Ora se il movimento deve essere eterno e continuo, fatto attestato dalla conoscenza che noi abbiamo del movimento dei corpi celesti, deve esistere un motore, il quale non sia mosso egli stesso, poichè non avvi che l’immutabile che sempre possa muovere alla stessa maniera; e reciprocamente del pari, se vi dee essere un movimento variabile, come la nascita e la morte, esservi dee un’altra natura motrice mezzana, tutt’insieme in movimento e in cangiamento, la quale per questa ragione sia abile ad agire in diverse maniere e in tempi differenti. Tre specie di enti sono dunque necessari alla spiegazione della natura: uno fuori dalla materia, il non mosso, o Dio; due materiali, il cielo eterno e che non può perire, il quale non si muove che nello spazio, in maniera uniforme e sempre in giro; e l’ente in fine che perisce, che abita la terra.

Oltre i quattro elementi un altro quinto. — „Aristotele