Pagina:Le aquile della steppa.djvu/116

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110 Capitolo dodicesimo.

splendido, essendo stata scelta come capitale dal famoso conquistatore asiatico Timur-Lent, meglio conosciuto sotto il nome di Tamerlano. Aveva allora una popolazione numerosissima ed era così potente da poter mettere in campo da sola ben sessantamila cavalieri ed i suoi trafficanti si spingevano fino alla Grande Tartaria Chinese, nel cuore del grande continente asiatico.

Oggidì, quantunque estenda ancora i suoi sobborghi nella meravigliosa valle del Sogd, quantunque abbia la sua accademia di scienze, traffichi ancora animatamente e abbia molte fabbriche, ove si tesse la seta più stimata dell’Asia, ha molto perduto del suo antico splendore al pari di Bukara, ove risiede per la maggior parte dell’anno il potentissimo e anche barbarissimo Khan, e che fu centro di uomini dotti e celebri non solo per l’Oriente, ma anche per l’Europa: vi fu il famoso Ebu-Sino, da noi chiamato Avicenna.

Era il momento, per la banda condotta dai due nipoti del beg e da Tabriz, di stare molto in guardia, perchè tutto il kanato, specialmente verso il fiume, è percorso incessantemente da orde di Usbechi e da Ghirghisi.

Tabriz, appena messo piede sulla riva opposta dell’Amu-Darja, fece fare alla truppa una seconda fermata, poi accompagnato dal solo Hossein, fece una galoppata sotto le altissime e frequenti piante, risalendo verso il settentrione.

— Che cosa cerchi, Tabriz? — chiese Hossein, vedendolo guardare attentamente la terra.

— Le tracce dei banditi. — rispose il gigante. — Per di qua devono ben essere passati e sarei ben lieto di trovarle. —

Continuarono ad avanzarsi sotto i platani e le betulle, che coprivano la riva, finchè un grido di trionfo sfuggì a Tabriz.

— Eccole!... —

Sul suolo, che era umidissimo in quel luogo, si scorgevano nettamente numerose impronte lasciate dagli zoccoli d’un grosso numero di cavalli.

Tabriz balzò a terra per meglio osservarle, quando Hossein lo vide rialzarsi prontamente e staccare il lungo archibugio che pendeva dalla sella del suo cavallo.

— Cos’hai, Tabriz? — chiese il giovine.

Il gigante invece di rispondere, gli fece segno colla mano di star zitto, poi armò il fucile appoggiando il calcio alla spalla e puntandolo verso un folto cespuglio che circondava la base d’un