Pagina:Le aquile della steppa.djvu/132

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126 Capitolo quattordicesimo.

— Rispondi prima ad una domanda che ti rivolge il figlio del tuo salvatore.

— Parla.

— Ieri dei cavalieri che giungevano dalla steppa sono entrati qui, è vero?

— Sì, me l’hanno detto.

— Avevano una fanciulla con loro?

— Anche questo è vero. Pare che si trattasse di qualche matrimonio perchè la fanciulla indossava le vesti nuziali ed aveva sul capo una tiara ricchissima.

— Dove si trovano ora?

— Non lo so. Hanno attraversata la città a corsa sfrenata, uscendo dalla parte opposta.

— Non si sono fermati? - chiese Abei, con uno slancio di gioia.

— No.

— Il tuo debito di riconoscenza è pagato, beg.

— In qual modo?

— La truppa che io ti ho condotto è guidata da mio cugino, pur lui nipote del beg Giah Aghà: Metti i suoi uomini in prima linea, esponili al fuoco dei russi più che potrai e non curarti d’altro.

Al resto penserò io: tu mi hai pagato.

— Ecco una cosa a buon mercato, — disse il beg, sorridendo. — Io non indagherò il mistero che ti spinge a sacrificare quegli uomini.

Ho bisogno di valorosi e mi varrò di loro.

— Quando credi che i russi daranno l’assalto?

— Non prima di domani.

— Hai qualche speranza di tenere testa a loro?

— Sì, se riuscirò a fanatizzare i miei cavalieri e la popolazione. Questa sera lancerò i muezzin attraverso le vie della città e farò loro invocare la protezione di Alì e di Hussein, portando in giro la veste verde dell’uno e la spada dell’altro e le colombe bianche, simbolo del loro martirio.

— Ho la tua parola, beg?

— L’hai, — rispose Baba, — così se morrò nella pugna anche questo debito l’avrò pagato. —

— Ci rivedremo al fuoco. —

Abei risalì sul suo cavallo, salutò con un gesto della mano il