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I fanatici del Turchestan. 131

e nasale i versetti del Corano, in attesa di organizzare la processione e di cominciare la festa del sangue.

I turchestani sono i più fanatici dei turchi e, fino ad un certo punto, rassomigliano in ciò agli indiani. Non si gettano come questi sotto i carri di pietra per farsi schiacciare a centinaia e centinaia, tuttavia celebrano tutte le loro feste religiose con grande effusione di sangue.

Un certo numero di fanatici, scelti fra i molti concorrenti, si mettono a capo delle processioni, armati di sciabole, di jatagan, di pugnali, di coltellacci e cinti di pesanti catene che trascinano fragorosamente per le vie e si tagliuzzano con una voluttà feroce e ributtante il viso, le braccia, il petto, invocando a squarciagola i loro santi protettori.

Il loro orgasmo è tale che i parenti e gli amici che li accompagnano sono sovente costretti a strappare loro di mano le armi od a calmarli, onde non finiscano per scannarsi. Malgrado tale sorveglianza, dopo ogni processione, si contano sempre parecchi morti e quelli sono gli invidiati, perchè tutti sono convinti che saliranno senz’altro nel paradiso del profeta.

Quando Abei, Hossein ed i loro cavalieri giunsero sulla vasta piazza, che era decorata con bandiere verdi e con tende nere su cui si leggevano, trapunti in oro, alcuni versetti del Corano, la processione si era ormai organizzata.

Tre o quattrocento fanatici, coperti d’una zimarra lunghissima di tela bianca, onde le macchie ed i rivi di sangue spiccassero maggiormente, tutti armati di scimitarre affilatissime ed i fianchi cinti di grosse catene, che trascinavano con un fragore infernale sui ciottoli della via, aprivano il corteo, fiancheggiati da parenti e da amici, che reggevano lunghe torce fiammeggianti.

Seguivano parecchi muezzin, i quali conducevano per le briglie tre cavalli bianchi, di razza araba, splendidamente bardati, con lunghe gualdrappe di seta trapunte in oro ed in argento e alti pennacchi sulla testa.

Uno portava sulla sella due scimitarre a doppio taglio, con due mele infilzate nella punta, il frutto prediletto di Alì, l’amico e nipote di Maometto, trucidato dai settari di Omar, che aspiravano in sua vece al califfato; il secondo un bellissimo cavallo vestito di seta verde con ricami magnifici, che voleva raffigurare quello che indossava Alì il giorno del suo assassinio; il terzo invece una