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L’assalto di Kitab. 143

bombarono dinanzi e dietro la scorta. I moscoviti avevano fatto fuoco dai due burroni e quella scarica fu disastrosissima per la scorta.

I cavalieri erano stramazzati, più di metà, per non più rialzarsi.

— A cavallo! — urlò Hossein, balzando in piedi. —

In quel momento un colpo di pistola rimbombò dietro di lui... e cadde sul proprio cavallo.

Tabriz si voltò, col kangiarro in pugno, digrignando i denti e urlando:

— Tradimento!... Tradi... —

Non potè finire. Un secondo sparo echeggiò a tre passi di distanza, confondendosi colle scariche dei russi e anche il gigante colpito al dorso, cadde a fianco del suo signore, mandando un vero ruggito di furore.

Aveva veduto la mano che gli aveva cacciato in corpo quel proiettile foderato di rame, come usano gli uomini della steppa.

Quasi nel medesimo istante una voce squillante aveva gridato:

— A cavallo!... Caricate! —

Abei, che stringeva ancora fra le mani le pistole fumanti, con un salto da tigre si era gettato sul suo farsistano, che alla voce del padrone erasi prontamente levato.

— Caricate! — ripetè il nipote del beg. — Giù col kangiarro!

Quindici uomini, fra i quali i banditi di Hadgi, sfuggiti miracolosamente alle scariche dei russi, avevano risposto all’appello.

Un urlo terribile, feroce, si sprigionò dai loro petti.

Uran!... Uran!... —

Poi quel drappello di demoni, senza curarsi di coloro che giacevano al suolo, contorcendosi fra gli ultimi spasimi dell’agonia, era partito con un impeto irrefrenabile, piombando coi kangiarri alzati fra i cosacchi, che occupavano il margine del burrone.

Quell’attacco fu così fulmineo, che i russi, per non venire travolti, si gettarono alla rinfusa a destra ed a sinistra, senza nemmeno tentare di farvi fronte.

Il drappello, preceduto da Abei, passò come un uragano, discese il burrone, poi lo risalì in volata e scomparve fra le alte erbe della steppa, salutato da un’ultima, ma troppo tardiva scarica.