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174 Capitolo terzo.

— Sei uno stupido.

— Allora tu sei stato più fortunato, Karawal.

— Cioè più furbo e più lesto di te, Dinar.

— Morti, è vero?

— Vivi, vivissimi come me e te. I sospetti del nipote del beg erano ben fondati.

— Non era dunque proprio sicuro di averli uccisi?

— Non si sa mai dove va a finire una palla, — sentenziò gravemente Karawal. — Talvolta fulmina e tal’altra invece risparmia.

Fidati ora delle palle! Abei doveva colpirli col kangiarro, mio caro: l’acciaio non sbaglia come il piombo.

— E concludi?

— Che Hossein e Tabriz sono vivi come lo siamo noi.

— Ti hanno ingannato.

— Sei uno stupido, Dinar. Li ho veduti io, con questi miei due occhi uscire da una tenda-ospedale, in mezzo ad un gruppo di cosacchi.

— Sicchè sono in mano dei russi!....

— Adagio, mio caro. Ho saputo d’altro.

— Che cosa?

— Che domani verranno condotti a Bukara insieme coi ribelli fatti prigionieri a Kitab.

— E noi?

— Li seguiremo.

— La nostra missione dovrebbe essere finita a questo punto.

— Già, il nipote del beg ci avrebbe promessi cinquecento tomani per fargli solamente sapere se suo cugino e Tabriz erano veramente morti. Se non volevi altro impiccio dovevi seguire Hadgi nella sua ritirata ed accontentarti dei dieci o dodici tomani che ti avrebbe dato per tanto lavoro, come si sono appagati quei due imbecilli che erano in nostra compagnia.

Karawal sa fare i propri affari.

Già, io sono uno stupido, — disse Dinar.

— Un cretino, anzi.

— Come vuoi, non me ne offendo. Io non ho la veste d’un uomo che un giorno diverrà il capo d’una banda di Aquile.

— È il mio sogno e, dovessi rinnegare Maometto, lo diverrò, — disse Karawal.