Pagina:Le aquile della steppa.djvu/254

Da Wikisource.
248 Capitolo decimo.

— rispose Hossein, che si era coricato dietro la parete. — Il mio timore è che si servano dei falconetti che abbiamo veduto sul ridotto.

— Pare che per ora non ci abbiano pensato, signore. La faccenda si guasterebbe troppo presto, non potendo queste muraglie resistere a simili tiri.

— Che cosa fanno dunque quei poltroni?

— Ci spiano, signore, e tengono un secondo consiglio. Pare che piaccia più ai bukari parlare che menare le mani.

To’!... M’ingannavo: ecco che si preparano a consumare un po’ di polvere dell’Emiro. —

Sette od otto colpi di fucile vennero sparati dietro al cespuglio, producendo molto baccano e molto fumo, ma niente di più perchè le palle di quei vecchi moschettoni non riuscivano ad attraversare le muraglie di fango, anzi nemmeno la tavola che aveva uno spessore non comune.

— Avanti!... Musica!... — disse Tabriz che pareva si divertisse immensamente. — Ci vuol ben altro che le vostre palle, stupidi!... Bisogna venirci a scovare col kangiarro in pugno, miei cari, e... —

Si era interrotto bruscamente ed aveva spiccato un salto verso la tavola senza prendersi alcun pensiero delle palle che continuavano a fioccare con un lungo mugolìo.

— Tabriz, che cosa fai? — gridò Hossein.

— Il miserabile!...

— Chi?...

— Il loutis.

— Con gli usbeki?...

— Sì, padrone.... Canaglia, si è nascosto, ma lo terrò d’occhio!... È necessario che l’uccida!...

— Via di lì, Tabriz!...

— Hai ragione, padrone. Sono uno stupido a espormi così... un po’ più basso e la mia testa scoppiava. —

Una palla aveva attraversato il suo cappello portandoglielo via dal capo.

— Hai veduto, Tabriz? —

Gli spari si succedevano senza tregua. I bukari facevano grande spreco di munizioni, senza ottenere alcun successo, poichè i due assediati si guardavano bene dal mostrarsi.

La fucilata durò una buona mezz’ora, poi parve che gli asse-