Pagina:Le aquile della steppa.djvu/255

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L’assedio. 249

dianti si fossero finalmente accorti dell’inutilità dei loro tiri, poichè il fuoco bruscamente cessò.

— Tabriz, — disse Hossein, — che vengano all’attacco?

— Mi pare che non ne abbiano l’intenzione, almeno pel momento, — rispose il gigante, che li spiava per una fessura lasciata fra la tavola e lo stipite della porta.

— Che ci cannoneggino?

— Eh, non lo so, mio signore, tuttavia non sono molto tranquillo.

— Io vorrei sapere come finirà quest’avventura.

— Li vedi ancora?

— No, sono tutti scomparsi, signore.

— Saranno andati a far colazione.

— E noi?

— Cerchiamo: quel maledetto taverniere avrà qualche cosa da porci sotto i denti.

Guarda i bukari tu, signore, mentre io frugo. —

Nella stanza non vi erano che alcune casse addossate alle pareti ed un vecchio cofano tarlato su cui trovavasi un pagliericcio che doveva servire da letto al proprietario della casupola.

Tabriz aprì le une e l’altro e fu tanto fortunato da trovare una mezza dozzina di gallette di maiz, nonchè una terrina di pesci già cucinati e conservati nel grasso di cammello.

— E vi è anche lì in quell’angolo un fiasco di kumis, — disse il brav’uomo, fregandosi le mani. — Per un paio di giorni i viveri sono assicurati ed in quarantotto ore possono succedere molte cose.

Padrone, si degnano mostrarsi?

— Non vedo nessuno, Tabriz, — rispose Hossein. — Si direbbe che hanno abbandanato il villaggio.

Che se ne siano proprio andati? —

Il gigante non rispose. Il giovane, non ottenendo risposta, si volse e vide Tabriz curvo verso una delle quattro pareti, che rimuoveva una tavola di quercia che era incastrata nel fango.

— Che cosa cerchi? — chiese Hossein.

— Dietro questa tavola vi deve essere qualche cosa, — rispose il gigante. — Resiste!... Eh cederà alle mie braccia!... —

Con uno sforzo la strappò mettendo allo scoperto un’apertura che aveva non meno di un mezzo metro di circonferenza, che