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La sconfitta degli usbeki. 267

— Come avrebbe potuto sposare Talmà? Ci voleva qualcuno che testimoniasse la vostra morte.

— L’infame!...

— Una parola, padrone, — disse Tabriz.

Poi rivolgendosi verso il bandito:

— Tu sai chi è stato a colpirci a tradimento con due colpi di pistola, mentre noi facevamo fronte ai moscoviti.

— Sì: mi hanno detto che è stato Abei.

— Hai udito, signore?

— Sì, — rispose Hossein coi denti stretti. — Quell’infame voleva la mia fidanzata e anche la mia vita.

Prosegui: che ordini ti aveva dato mio cugino quando tu tornasti a Kitab?

— Di riportare nella steppa i vostri cadaveri, se l’avessi potuto.

— E se ci aveste trovati solamente feriti?

— Di perdervi a qualunque costo e di consegnarvi all’Emiro, avendoti egli messo, nella fascia, dei documenti compromettenti.

— Vedi, padrone, che io non mi ero ingannato, — disse Tabriz.

Hossein stette qualche minuto silenzioso, poi volgendosi verso il bandito che si teneva le mani sul capo come per difenderlo da qualche colpo di kangiarro, gli disse:

— Sarei nel mio diritto di ucciderti, invece io ti farò dono della vita, ad una condizione. —

Tabriz fece una smorfia e scosse il capo, come se fosse poco contento di quelle parole.

— Parla, mio signore, — disse Karaval, respirando a pieni polmoni.

— Che tu deponga dinanzi al beg, mio zio, di quale infame missione ti ha incaricato mio cugino.

— Sono pronto a farlo.

— Tabriz, lega le braccia a quest’uomo e mettilo in sella.

— Partiamo?

— Subito: ho sete di vendetta.

— Ecco la fine della tragedia, — mormorò il gigante.

Legò poi solidamente le braccia al bandito, lo pose su uno dei tre cavalli e ripartirono a piccolo trotto attraverso la steppa sconfinata.