Pagina:Le aquile della steppa.djvu/278

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272 Capitolo dodicesimo.

— Sei ben sicuro che siano morti? — chiese il beg con voce fremente.

— Dubitereste, padre? — chiese Abei, impallidendo.

— Accostati ed ascoltami. —

Abei era diventato livido ed inquieto, tuttavia obbedì e si avvicinò al vecchio beg.

— Voltati indietro, ora, — disse Giah Aghà.

Abei guardò con ispavento il vecchio, nei cui occhi balenava una fiamma terribile.

— Padre! — esclamò con angoscia.

— Voltati! — urlò il beg.—

Abei girò il capo e mandò un grido.

Hossein, Tabriz e Karaval erano comparsi improvvisamente sulla porta della tenda.

— Li vedi? — ruggì il beg.

Con un rapido gesto sfoderò la scimitarra di Damasco. Un lampo brillò in aria ed Abei cadde colla testa quasi staccata dal busto.

— Ecco la vendetta del beg della steppa turchestana, — esclamò Giah-Aghà, con voce tuonante. — Hossein, sei vendicato. —

Karaval, spavetato, si era slanciato fuori dalla tenda, fuggendo a tutte gambe, temendo di subire l’egual sorte. Tabriz che lo teneva già d’occhio gli aveva tenuto dietro.

Due spari rimbombarono quasi subito, seguiti da un grido, poi il gigante ricomparve, tenendo in pugno due pistole ancora fumanti.

— Padrone, — disse, accostandosi a Hossein, che guardava con terrore il cadavere d’Abei, — tu avevi promessa salva la vita al bandito, ma io non avevo giurato nè su Maometto, nè su Alì, e l’ho ammazzato. Dei traditori ve ne sono perfino troppi nella steppa.

Anche il vecchio beg guardava il corpo di Abei; quando l’ultimo fremito cessò, alzò gli occhi verso Hossein e gli disse con voce pacata:

— Giustizia è fatta. Prendi il mio miglior cavallo e recati da Talmà che da tanti giorni ti piange. —

Poi, volgendosi verso Tabriz, che pareva aspettasse qualche ordine:

— Seppellisci nella steppa quest’uomo, — gli disse, additandogli Abei. — Non è mio nipote.... è un miserabile. Va’!... Portalo via!... —