Pagina:Le aquile della steppa.djvu/44

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38 Capitolo quinto.

— Quale, Tabriz?

— Non oso dirtelo.

— Devi parlare.

— Ho udito a narrare che il Khan di Samarcanda e che anche quello di Bukara, si sono sovente serviti delle Aquile per provvedere di belle fanciulle i loro harem. —

Hossein provò un tale colpo al cuore da vacillare sulla sella.

— Vuoi uccidermi, Tabriz? — disse, con voce soffocata.

— Io non volevo dirtelo, signore. Possibile che quei miserabili siano qui venuti attirati dalla bellezza di Talmà, piuttosto che dalla sua ricchezza?

— La fama della bellezza della tua fidanzata, può essere volata molto lontana e può essere penetrata anche entro gli harem di quei Khan.

— Guai a loro! — urlò il giovane. — Per quanto siano potenti, il mio kangiarro saprebbe raggiungerli.

— La mia non è stata che una supposizione, padrone, — disse il gigante.

— E nondimeno mi ha colpito profondamente il cuore, più dolorosamente d’un colpo di pugnale.

— Possono avere di mira solamente le ricchezze della tua fidanzata, signore.

— Vadano pure i cofani pieni d’oro e di gioielli di Talmà, ma non lei. L’amo così immensamente, Tabriz, che non potrai mai fartene un’idea, m’intendi?....

Se corro attraverso la steppa, mi pare di vederla fuggire dinanzi a me fra le alte erbe, come una visione celeste: se dormo, mi pare di vederla entrare silenziosamente nella tenda del beg e accostarsi al mio capezzale e sussurrami parole d’amore: se inseguo una fiera o caccio col falco, mi pare che perfino gli animali volatili abbiano qualche cosa di comune con Talmà.

M’intendi, Tabriz? Aizza il tuo cavallo, senza tregua, senza compassione. Se muore poco importa. Abbiamo cavalli in abbondanza.

— Cani di predoni! — ruggì il gigante. — Ne farò un macello di quei ladri! È tempo che le Aquile ritornino nelle loro maledette steppe della Ghirghisia.

— Sferza, Tabriz. —

I due stalloni persiani, quantunque galoppassero da quasi una