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Pagina:Le confessioni di Lev Tolstoj.djvu/27

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le confessioni 25

pendo che il drago della morte, pronto a divorarmi, mi attende inevitabilmente; non posso comprendere perchè mi sia sottomesso a questa tortura e cerco di succhiare quel miele che una volta mi consolava. Ma questo miele non mi contenta più, e i topi, il bianco e il nero, notte e giorno rodono il ramo a cui m’attacco: vedo distintamente il drago, e il miele non mi par più dolce. Non vedo che una cosa: il drago inesorabile ed i sorci, e non posso staccar da essi lo sguardo. E questa non è una favola, ma la verità, vera, indiscutibile, accessibile a tutti.

L’antico inganno dei godimenti della vita, che soffocava l’orrore della visione del drago, non mi prende più. Si ha un bel dirmi: «Tu non puoi comprendere il senso della vita, non riflettere, lascia che tu viva»; non posso far questo, l’ho fatto già troppo. Ora io non posso non vedere il giorno e la notte che corrono e mi conducono alla morte. Non vedo che questo, perchè questo solo è la verità. Tutto il resto è menzogna.

Queste due gocce di miele, le quali, più a lungo di tutto il resto, distolsero i miei occhi dalla verità crudele ― l’amore della famiglia e delle lettere — che chiamavo arte ― non mi son più dolci.

«La famiglia, mi dicevo... La famiglia — mia moglie, i miei figli ― ma sono anch’essi degli esseri umani, che si trovano nelle mie stesse condizioni: devono vivere nella menzogna o guardare in faccia la terribile verità... Perchè devono vivere? Perchè li amerei, li proteggerei, li nutrirei? Perchè abbiano a conoscere la stessa disperazione ch’è in me, o per farne degli esseri stupidi? Amandoli, non posso