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Pagina:Le confessioni di Lev Tolstoj.djvu/38

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Errai così nella foresta delle scienze umane, fra le luci delle scienze matematiche e sperimentali che mi scoprivano degli orizzonti rischiarati, ma senza rifugio alcuno, e nelle tenebre delle scienze speculative, che divenivano tanto più fitte quanto più mi ci immergevo, fin che fui infine convinto che non v’era uscita e che non poteva esservene.

Studiando i lati più chiari della scienza, avevo compreso che mi scostavo dalla questione. Quantunque l’orizzonte che si svolgeva ai miei occhi fosse attraente e luminoso, quantunque fosse piacevole per me l’immergermi nell’infinito di queste scienze, ciononostante capivo che queste scienze m’erano tanto più chiare quanto meno m’erano necessarie e meno rispondevano alla questione.

«Ebbene! mi dicevo, so tutto ciò che la scienza vuol sapere così ostinatamente, ma la soluzione al problema del senso della vita non vi si trova». Nel campo speculativo, nonostante o precisamente perchè lo scopo questa scienza è di dare una risposta alla mia domanda, compresi che non esisteva altra risposta, di quella che m’ero data: «Qual è il senso della mia vita?» «Il nulla.» Oppure: «Che cosa risulterà dalla mia vita? — Nulla.» O: «Perchè tutto ciò che esiste, esiste, e perchè esisto io? — Perchè tutto ciò esiste.»

Da certi rami della scienza umana ricevevo un’infinita quantità di risposte esattissime su ciò che non chiedevo: sulla composizione chimica delle stelle, sul movimento del sole verso la costellazione d’Ercole, sulle origini delle specie e dell’uomo, sulle forme delle parti infinitamente piccole e imponderabili dell’etere. Ma alla mia domanda circa il senso della vita in