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Pagina:Le confessioni di Lev Tolstoj.djvu/61

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le confessioni 59

finito, o avere del senso della vita una spiegazione tale che il finito equivalga all’infinito. Tale spiegazione era in me, ma non m’era necessaria fin che credevo nel finito; e la sottomisi al controllo della ragione. Alla luce della ragione tutta la spiegazione precedente crollò. Poi venne il tempo in cui non credetti più al finito. Allora cominciai a costruire sulle basi della ragione una spiegazione che mi desse il senso della vita: ma non si poteva costruire nulla. Coi migliori spiriti dell’umanità giunsi al risultato O=O e ne fui assai sorpreso, mentre non poteva essercene altro. Che facevo quando cercavo una risposta nelle scienze sperimentali? Volevo sapere perchè vivessi, e per questo studiavo tutto ciò ch’era fuori dalla mia vita. È chiaro che potevo imparar molte cose, ma nulla di ciò che m’era necessario.

Che sono io? Una parte dell’infinito. In queste due parole è tutto il problema. Tutta l’umanità ha posto questa questione ieri soltanto? Nessuno prima di me non aveva posto una questione così semplice da star sulle labbra di ogni bimbo intelligente? Questa questione è stata posta dacchè gli uomini esistono, e dacchè gli uomini esistono è evidente che, per risolverla, non basta confrontare il finito con l’infinito, e, dacchè gli uomini esistono, i rapporti del finito all’infinito sono trovati ed espressi.

Tutte le concezioni che permettono di confrontare il finito con l’infinito e con le quali si ottiene il senso della vita, la concezione di Dio, della libertà, del bene, vengono da noi sottomesse ad un’analisi logica, mentre esse non sopportano la critica della ragione.

Se non fosse orribile, sarebbe ridicolo. Con