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Pagina:Le confessioni di Lev Tolstoj.djvu/67

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le confessioni 65

vita e vediamo un’ironia crudele nella necessità delle sofferenze e della morte, questi uomini vivono, soffrono, vedono avvicinarsi la morte con tranquillità, e il più sovente con gioia. Mentre la morte calma, senza terrore nè disperazione, è, nel nostro ambiente, un’eccezione rarissima, la morte inquieta, rabbiosa, ribelle è un’eccezione rarissima nel popolo. E v’è una innumerevole quantità di questi uomini i quali, privati di tutto ciò che per noi e per Salomone fu l’unico bene della terra, conoscono cionostante la maggior felicità.

Allargai il campo delle mie osservazioni. Esaminai la vita delle masse d’uomini scomparsi e quella dei miei contemporanei.

Vidi degli uomini che avevano compreso il senso della vita, che sapevano vivere e morire. Non ne vidi due, tre, dieci, ma delle centinaia, delle migliaia, dei milioni. Tutti, infinitamente diversi per costumi, intelligenza, istruzione, condizione, tutti conoscevano il senso della vita e della morte, lavoravano tranquillamente, sopportavano le privazioni e le sofferenze, e vivevano e morivano, vedendo in tutto ciò la felicità, non la vanità. Ed amai questi uomini. Più penetravo nella loro vita, tanto in quella dei vivi che in quella dei morti, che conoscevo per mezzo di letture e di racconti, più li amavo e più mi diveniva facile la vita.

Vissi così due anni, durante i quali si compì in me quella trasformazione che si preparava da molto tempo e il cui germe era stato sempre nella mia anima.

Acadde che non soltanto la vita della nostra società, dei ricchi, dei sapienti, mi disgustò, ma anche ch’essa perdette ogni senso per me. Le nostre azioni, i nostri ragionamenti, le nostre