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Eppure, sempre sempre, per diversi altri ragionamenti, arrivavo a questa stessa conclusione: che non potevo essere al mondo senza una ragione, un senso, una causa; che non potevo essere l’uccellino caduto dal nido come mi sentivo. E se anche fossi un uccellino caduto sul dorso e gridante nell’erba alta?... Ma se grido è perchè so che una madre m’ha portato in sè, m’ha riscaldato, nutrito, amato. Dov’è dunque questa madre? Se fui abbandonato, da chi lo fui? Non posso dissimularmi di esser stato generato da un essere amoroso. Chi è dunque, questo essere? Ancora Dio.

«Egli conosce e vede i miei sforzi, la mia disperazione, la mia lotta. Egli esiste» mi dicevo. E non appena riconoscevo questo, la vita si sollevava in me e sentivo la possibilità e la gioia dell’esistenza. Ma, di nuovo, dalla confessione dell’esistenza di Dio, passavo alla ricerca dei miei rapporti verso di lui e, di nuovo, questo Dio si presentava a me come il Dio creatore in tre persone, che ha inviato suo figlio, il Redentore. E, di nuovo, questo Dio separato dall’universo, da me, si fondeva come il ghiaccio. Ai miei occhi non restava più nulla e tutt’a un tratto la sorgente della vita si disseccava. Io ricadevo nella disperazione, sentivo che non mi rimaneva che il suicidio e, quel ch’è peggio, mi sentivo assolutamente incapace di compierlo.

Non due o tre volte, ma delle centinaia di volte, passai così da un accesso di gioia e di esultanza alla disperazione e al sentimento di non poter vivere.

Ricordo che, in un giorno di primavera precoce, ero solo nella foresta, ascoltando i suoi mille rumori. Tendevo l’orecchio e il mio pensiero, come sempre, si rivolgeva a ciò che l’oc-