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Con questa parola Risurrezione1 i Russi indicano il giorno festivo di ogni settimana, e in quel giorno veniva celebrato il sacramento dell’Eucaristia, che m’era impossibile comprendere. Tutte le altre dodici feste, Natale eccettuato, commemoravano dei miracoli, ai quali cercavo di non pensare per non negarli: l’Assunzione, la Pentecoste, l’Ascensione, l’Intercessione della Santa Vergine.

Alla celebrazione di queste feste, sentendo che si attribuiva un’importanza a ciò che per me non ne aveva, inventavo delle spiegazioni che mi tranquillizzassero o chiudevo gli occhi per non vedere ciò che mi scandalizzava.

Sentivo ciò più vivamente che mai quando assistevo ai sacramenti più comuni e che passavano per i più importanti: il battesimo e la comunione. Qui mi trovavo in presenza di atti non incomprensibili, ma, al contrario, assolutamente comprensibili. Questi atti mi sembravano scandalosi ed ero condotto al dilemma; mentire o respingerli.

Non dimenticherò mai il sentimento doloroso da me provato il giorno in cui mi comunicai per la prima volta dopo parecchi anni. Il servizio del culto, la confessione, i regolamenti m’erano comprensibili e producevano in me la coscienza gioconda che il senso della vita mi si svelava. Mi spiegavo la comunione come un atto compiuto in memoria di Cristo e indicante la purificazione dal peccato e l’accettazione completa della dottrina cristiana. Non m’accorgevo se questa spiegazione fosse artificiosa o no. Ero così contento di umiliarmi davanti al

  1. La domenica si chiama, in russo, Risurrezione.