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176 le confessioni d’un ottuagenario.


Che serve adulare noi stessi e l’umana natura, per accrescere le stesse sciagure col disdoro della falsità e coi rimorsi del tradimento? Meglio sarebbe picchiarsi il petto e arrossire; anzichè alzar la mano a imprudenti giuramenti. Giurare si lasci a chi frugò se medesimo, e si conobbe atto a mantenere; senzachè a costoro giurare diventa superfluo. Quanto a quelli che promettono, e giurano col fermo intento di gabbare, son troppo frivoli o malvagi perchè vi debba spender dietro una parola. Se è ridicolo in un matto il farla da santo, sarebbe sacrilegio in un tristo. Io poi ne ho conosciuti altri che scambiavano per virtù e sentimenti proprii la forza e l’ardore momentaneo, instillato in loro dal contatto di qualche anima infervorata. Credono essi, come quel ragazzo, che la luna sia cascata nel pozzo, perchè ne veggono entro l’acqua l’immagine. Ma la luna tramonta, e l’immagine sparisce. Allora essi si sbracciano per restare incaloriti come prima erano, e sbruffano e sospirano con perfetta buona fede. Quell’anima infervorata guarda compassionando all’inutile fatica, e l’amore misto di pietà, di sfiducia, di memoria e di sprezzo, diventa martirio. È inutile tentarlo: il cielo non si scala coi superlativi, e la volontà non basta a tenere accesa una lucerna cui vien mancando l’olio. Le anime piccole debbono diffidare di sè, e più delle proprie passioni quanto sono più intense; in esse l’amor tiepido può durare a lungo fausto a sè e ad altrui; l’amor veemente è una meteora, è un lampo che più infelicità produce, quanto maggiori speranze avea suscitato. Ma la infelicità così prodotta è tutta per gli altri, giacchè i frivoli non son tali da sentirla. Per questo non si danno eglino aria alcuna di schivare le occasioni ond’essa deriva; e da ultimo si oppone a ciò la estrema difficoltà di obbedire quell’antico precetto: Conosci te stesso! — Chi osa confessare, od anche solo credere sè piccolo di cuore? Bisogna in verità uscire con un salto