Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/310

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capitolo sesto. 283


me sarebbe stata per lui uguale disgrazia. Quanto alla padrona vecchia, egli saliva sì a tenerle compagnia durante le assenze della Clara, ma la diversità di abitudini, la lontananza in cui vivevano, negavano loro lo aver comuni quei segni d’intelligenza, con cui si arriva a farsi capire dai sordi.

Intanto la comparsa dei nobili signori di Fratta, e massime della contessina Clara nella conversazione di casa Frumier, aveva introdotto in questa il nuovo elemento dei castellani e dei signorotti campagnuoli. Non mancò di accorrere prima il Partistagno, il quale dopo il soccorso portato al castello contro l’assalto del Venchieredo, era divenuto per la famiglia una specie di angelo custode. Egli poi, convien dirlo, portava abbastanza superbamente l’aureola di questa gloria; ma i fatti stavano per lui, e si poteva riderne non negargliene il diritto. Lucilio ci pativa molto di questo altiero contegno del giovine cavaliere, ma i suoi patimenti erano più d’invidia che di gelosia. Gli doleva piucchè altro che il servizio prestato dal Partistagno ai conti di Fratta non lo si dovesse invece a lui. Del resto viveva sicuro della Clara: ogni occhiata di lei lo confortava di nuove speranze; perfino la serenità, colla quale essa accettava le cortesie del Partistagno, gli era caparra che giammai un pericolo lo avrebbe minacciato da quella parte. Come non affidarsi interamente a quel cuore così puro, a quella coscienza così retta e tranquilla? Molte volte egli le aveva parlato da solo a sola o nel tinello o nelle passeggiate dopo la prima dichiarazione del loro amore; quasi tutti i giorni aveva passato un’ora con lei nella camera della nonna, e sempre più si era invaghito di quella bellezza innocente ed angelica, di quel cuore verginale e fervoroso nella sua muta tranquillità. Quell’indole focosa e tirannica avea bisogno d’un’anima, ove riposarsi colla quieta sicurezza d’un affetto. L’aveva trovata, l’aveva amata, come il cappuccino mo-