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298 le confessioni d’un ottuagenario.

forza alcuna nel mondo che potesse rinnovarla. Oh con quante lagrime di disperazione e di amore non rimpiansi io allora i secoli dei prodigii e delle conversioni miracolose!... Con quanto ardore di speranza non divorai quei libri dove s’insegnava a rigenerare le anime coll’affetto, colla pazienza, coi sacrificii!... Con quanta umiltà, con quanto coraggio non offersi parte a parte tutto me stesso in olocausto, perchè quell’angelo decaduto di cui io aveva contemplato sull’alba della vita gli allegri splendori, riavesse la pompa della sua luce!... — O i libri mentiscono, o la Pisana era fatta omai tale, che potenza d’uomo non bastava a cangiarla. Il cielo s’aperse dinanzi a lei una volta, e io vidi quello che la mia ragione non vuol credere, ma che il cuore ha collocato nel più puro tesoro delle sue gioie. Come mi sembra vicino quest’ultimo giorno di ricompensa e di dolore infinito!... Ma quando viveva al castello di Fratta ne era ben lontano: e la mia mente avrebbe inorridito di credere che l’amor mio riceverebbe il premio più certo dalle mani della morte.

Nei giorni susseguenti a quella sera, che tanto mi avea fatto patire, io parvi a tutti così fiacco e sparuto che si temeva di qualche malattia. Volevano ad ogni costo che mi lasciassi tastare il polso dal signor Lucilio; ma io mi vi rifiutai ostinatamente, e finchè il male non cresceva, mi lasciarono stare persuasi che fosse caponaggine di ragazzo. Vedevano bene le cameriere che gli affetti tra me e la Pisana s’erano raffreddati di molto, ma erano ben lontane dal credere che questa fosse la causa della mia sparutezza. Prima di tutto erano avvezze a questi intervalli di raffreddamento, e poi non davano alla cosa maggior importanza che non meritasse una fanciullaggine. Dopo un pajo di giorni anche la Pisana s’accorse del mio pallore, e delle mie astinenze; sicchè, quasi indovinandone il segreto, si sforzò a raccostarmisi per farmi bene. Io era già passato dal