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360 le confessioni d’un ottuagenario.

umani diritti proclamati da Francia, fu in Italia di gran lunga maggiore che altrove. Questo più che la patita servitù, o la somiglianza delle razze giovò ai capitani francesi per sovvertire i fracidi ordinamenti di Venezia, di Genova, di Napoli e di Roma, di tutti insomma i governi nazionali. Tanto è vero che, come negli individui, così nei consorzii e nelle istituzioni umane senza il germe, senza il nocciuolo, senza il fuoco spirituale, nemmeno l’organismo materiale prolunga di molto i suoi moti. E se una forza estranea non distrugge violentemente i congegni, la vita a poco a poco s’affievolisce e s’arresta di per sè.

Il mio vivere a Padova era proprio quello d’un povero studente. Somigliava nella figura il fanticello di qualche prete, e portava modestamente i contrassegni della nazione italiana, come si costumava anche allora dagli studenti, quasichè si fosse ancora ai tempi di Galileo, quando Greci, Spagnuoli, Inglesi, Tedeschi, Pollacchi e Norvegi, concorrevano a quell’università. Si disse che Gustavo Adolfo fu colà discepolo del grande astronomo; il che importerebbe ben poco alla storia sì dell’uno che dell’altro. Coloro che io aveva compagni di collegio erano per la maggior parte pecoroni di montagna, rozzi, sudici, ignoranti; semenzaio di futuri cancellieri per gli orgogliosi giurisdicenti, o di notari venderecci per gli uffici criminali. Tripudiavano e s’abbaruffavano fra loro, appiccavano eterni litigii coi birri, coi beccai, cogli osti e con questi soprattutto, perchè avevano la strana idea di non volerli lasciar partire dalla taverna se prima non pagavano lo scotto. La querela terminava dinanzi al foro privilegiato degli scolari; dove i giudici mostravano il facile buon senso di dar sempre ragione a questi ultimi, per non incorrere nel loro sdegno altrettanto implacabile, quanto poco giusto e moderato. Gli studenti patrizii si tenevano in disparte a tutto potere da questa bordaglia; più per paura che per boria, credo. E del resto