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366 le confessioni d’un ottuagenario.

occhi del conte e del canonico qualche gravissimo scandalo; ma forse le apparenze furono peggiori della realtà, e le fatiche corporali e la vita selvatica e vagabonda attutirono per allora nella Pisana gli istinti focosi e sensuali. In ciò io era più disposto tuttavia a veder nero che bianco; perchè essendo stato testimonio e compagno delle sue infantili effervescenze, durava grande fatica a credere che l’età più adulta avesse smorzato in lei quello che suole accendere negli altri. Ebbro d’amore e di rimembranze, ogni qualvolta un impeto di compassione me la recava fra le braccia e non la sentiva tremare e sospirare come avrei voluto, la gelosia mi torceva l’anima: pensava che a me restassero le ceneri d’un fuoco che avea bruciato per altri, e su quelle labbra dove m’immaginava dover gustare ogni gioja del paradiso, trovava invece i tormenti dell’inferno. Ella si stoglieva da me disgustata della mia freddezza, della mia rabbia continua, io fuggiva da lei colle mani nei capelli, colla disperazione nel cuore, volgendo nell’animo pensieri di morte e di vendetta. Giulio Del Ponte mi sovveniva allora colla sua fisonomia piena di fuoco, d’ardimento, di vita, co’ suoi occhi inondati sempre di gioja e d’amore, col suo sorriso schernitore insieme e procace come quello d’un Fauno greco, colla sua loquela pronta, vivace, immaginosa, soave! Io lo odiava in ragione delle immense doti concessegli dalla natura per ammaliare le donne; mi piaceva di pensare ch’egli non era nè bello, nè robusto, nè ben fatto, e che la più guercia donzella del contado avrebbe preferito le mie larghe spalle e la mia aperta e sana figura a quel suo corpicciuolo magro, sparuto, convulso. Contuttociò dinanzi alla Pisana mi sentiva nulla appetto a lui; capiva che se fossi stato donna io pure gli avrei concesso la palma in mio confronto. Dio! che cosa non avrei io dato allora per cambiarmi con lui a prezzo di qualunque sacrifizio! — Avessi per-