Pagina:Le confessioni di un ottuagenario I.djvu/416

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capitolo ottavo. 389

po’ anche perchè i miei occhi avevano bisogno di non vedere.

— Carlino, — mi disse il padre girando con me su e giù per la sala mentre i servi finivano di sparecchiare — voi siete in procinto di tornare a Padova.

— Sì, padre, — risposi con due sospironi irragionevoli forse ma certo sinceri.

— È il vostro meglio, Carlino. Qui confessatemi che non siete contento del vostro stato, che l’incertezza e l’ozio vi rovinano, e che sciupate i più begli anni della gioventù.

— È vero, padre; ho cominciato per tempo a gustare il fastidio della vita.

— Bene, bene! tornerete poi a trovarla gradevole le dieci e le venti volte. Tutto sta che vi sacrifichiate nobilmente all’adempimento de’ vostri doveri. —

Quest’esortazione in bocca del reverendo mi sorprese assai: non mi sarei mai aspettato che le sue massime concordassero con quelle di Martino; e questa concordia mi aperse d’un tratto l’animo alla confidenza.

— Le dirò — soggiunsi — che da poco tempo in qua ho cercato appunto nell’adempimento de’ miei doveri un rifugio contro... contro la noja.

— E lo avete trovato?

— Non so; lo scrivere in cancelleria è lavoro troppo materiale; e il signor cancelliere non è la persona più adatta a rendere quel lavoro piacevole. Occupo le mani, è vero, ma la testa vola ove le piace, e pur troppo i dispiaceri e le ore si contano più col cervello che colle dita.

— Parlate ottimamente, Carlino: ma voi dovete sapere meglio di me che più di tutto alla guarigione importa una ferma volontà di guarire. Qui, qui, Carlino, voi avete l’anima ammalata; se volete sanarla, andatevene; ma voi direte che la malattia viaggia coll’infermo. No, no,